CAPITOLO II
1775-1789: Madame Vigée-Le Brun e la Francia
Il pubblico, così appassionatamente innamorato della propria immagine, non ama di una passione
minore l'artista al quale da più volentieri incarico di raffigurarla.(1)
Il 1775 fu un
anno cruciale per la formazione artistica di Elisabeth. Jacques François Le
Sevre (1724-1810), il suo patrigno, decise di traslocare all’hotel Lubert, in
rue de Cléry. L’edificio era stato appena terminato ed era di proprietà di
Jean-Baptiste-Pierre Le Brun.
Monsieur Le Brun (…) vi abitava
(…) andai a vedere i magnifici quadri appartenenti a tutte le scuole, di cui il
suo appartamento era pieno (2).
Jean-Baptiste-Pierre Le Brun
(1748-1813) era un personaggio complesso. Aveva iniziato la sua carriera come
pittore, sulle orme del ben più famoso nonno Charles, come allievo di Boucher e
Deshayes. Il padre era commerciante d’arte e presto anche Le Brun figlio
dovette impiegarsi in tal senso, abbandonando la tavolozza. Dette comunque il
meglio di sé come fine conoscitore d’arte. Non solo aveva una grande collezione
privata, ma era anche mercante astuto, critico intelligente ed attento esperto
d’arte di fama europea. Era lui a consigliare gli acquisti per le collezioni
reali e curava collezioni private di alto livello (3), come quelle di Grimod de
la Reynière, del conte d’Artois, del duca d’Orléans (4) e, come vedremo, del
duca di Vaudreuil. L’hôtel Lubert, progettato sotto la sua stretta
supervisione, aveva una grande sala illuminata da lucernari: qui era esposta la
sua collezione e si tenevano le aste. Inoltre, dal 1789, Le Brun vi accolse
opere contemporanee di artisti che non appartenevano all’accademia.
La più grande passione del
collezionista era l’arte fiamminga e olandese: nel 1794, durante la
rivoluzione, impedì con foga la distruzione delle petits tableaux flamands [e
olandesi] connus sous le nom de curiosité (5) delle collezioni statali,
considerate allora indegne di figurare vicino a nobili tele di storia. Fu lui,
inoltre, a decretarne il successo nelle maggiori collezioni private francesi
del Settecento. Scrisse molte opere, ma la più importante fu certo la Galerie
des peintres flamands hollandais et allemands, in tre volumi, pubblicata in
due parti, nel 1792 e nel 1796, e corredata di incisioni. Fra i tanti pittori
citati in quest’opera vi è anche Vermeer (6), che all’epoca nessun altro teneva
in grande considerazione, preferendogli, la maggior parte degli amateurs,
Metsu, van Mieris, Ter Borch.
La pittura fiamminga e olandese
stentò ad avere successo nella Francia del Settecento. Il primo a portare in
patria opere di questa scuola fu il marchese de Voyer, un capitano
dell’esercito che aveva partecipato alle recenti guerre tra le Fiandre e la
Germania. Dopo di lui ci fu la contessa de Verrue (7) e quindi altri amateurs
come il principe de Conti (8), Gagny, Rendon de Boisset e il duca di Choiseul
(9).
Le Brun accolse volentieri nella
sua casa la giovane e bella Elisabeth, le prestò molti quadri perché li
copiasse e si accorse ben presto che il talento di lei non era poca cosa. Egli
aveva un accordo con un mercante d’arte olandese, di cui doveva sposare la
figlia, ma pensò che un legame con la promettente pittrice poteva essere molto
più fruttuoso per il futuro. Dopo appena sei mesi dal loro primo incontro Le
Brun le chiese di sposarlo in segreto (per non rovinare i rapporti col padre
della precedente promessa sposa). Elisabeth era reticente. Le Brun era molto
gentile con lei, ma era anche noto per essere un libertino e un avventato
giocatore. D’altra parte le insistenze di Jeanne Maissin che era certa che la
figlia avesse trovato un buon partito e il comportamento del patrigno, che
intascava tutti i suoi guadagni trattandola malissimo, convinsero Elisabeth a
dire, all’oscuro di tutti, il fatidico sì l'undici gennaio
del 1776 nella chiesa di Saint Eustache (10).
Nelle sue memorie la pittrice si
lamenta instancabilmente del marito, che, come e peggio di Le Sevre, si
impossessava dei suoi compensi dilapidandoli al gioco o con donne di malaffare.
Eppure non fu un matrimonio del tutto fallimentare, fu, piuttosto, an
immensely complex marriage (11). Entrambi i coniugi ebbero dei grandi
vantaggi dalla loro unione, lui dal punto di vista economico, lei dal punto di
vista artistico e sociale.
La sorte che me la destinava
per moglie le riservava i mezzi di coltivare un’arte alla quale mi ero dedicato
io stesso. Grazie a trent’anni di commercio potevo metterle sotto gli occhi
tutto ciò che le diverse scuole dei maestri più famosi offrono di più bello e
di più prezioso nei diversi generi [...] Lavorammo dunque insieme, nella
emulazione reciproca e ciò che avevo previsto accadde: continuamente
incoraggiata nel suo amore per la pittura, a contatto con i bei quadri che
riempivano i miei magazzini, con i capolavori dei Rubens, dei Rembrandt, dei
Guidi, degli Albani, la cittadina Lebrun attinse a quel grado di perfezione che
le ha fatto assegnare da vari anni uno dei primi posti tra i grandi pittori
della nostra scuola (12).
Oltre a tutto questo, un altro
merito di Le Brun fu quello di permettere alla moglie di avere un suo salotto
dove ricevere.
La cittadina Lebrun, seguendo
il suo gusto per l’arte, riuniva a casa sua, una volta alla settimana, pittori,
scrittori, architetti e musicisti. Poteva essere interessante vedere riuniti in
un luogo modesto uomini eminenti in tutti i campi, sentire i Vernet, i Delille,
i Lebrun [si tratta del poeta Lebrun-Pindare], i Chamfort applaudire la musica
ammaliante dei Piccinni, dei Sacchini, dei Grétry, dei Martini e l’esecuzione
brillante e superiore dei Viotti, dei Duport e dei Jason. Era una sorta di
Lycée aperto a tutti i talenti e da cui era bandita ogni formalità. Erano le
arti che fraternizzavano fra di loro, e coloro tra questi artisti che professavano
la musica e non si spostavano mai senza esigere un diritto legittimo di
presenza, sembravano troppo felici di fare senza alcuna ragione d’interesse
l’omaggio dei loro talenti a una donna che ne sentiva il valore e che li
ripagava del loro sacrificio con l’espressione sincera del piacere che provava
(13).
Era un salotto molto diverso dagli
altri, familiare, allegro, privo della pomposità e del peso dell’etichetta di
corte. Non vi presero parte solo artisti, ma anche nobili e collezionisti
d’arte famosi e fondamentali per la carriera di Elisabeth (sia per commissioni,
sia per le opere in loro possesso) e per quella di suo marito, che, tuttavia,
partecipava molto raramente alle serate della moglie.
Grazie a queste serate Elisabeth
allargò sempre più la sua clientela e conobbe, fra gli altri, il conte di
Vaudreil, che diventò suo committente, patrono e, forse, amante (14).
Joseph-Hyacinthe-François de Paule de Rigaud, conte di Vaudreuil (1740-1817)
era nato nella colonia francese di Santo Domingo e aveva intrapreso la carriera
militare come tutti gli uomini della sua famiglia fin dal tempo delle Crociate.
Ma Vaudreuil era soprattutto un uomo raffinato e dai tratti delicati, come
Elisabeth ci ricorda più volte nelle sue memorie (15) e come ci dimostra nel
ritratto che gli fece nel 1784 (17). Era un appassionato collezionista (16),
mecenate di molti artisti francesi suoi contemporanei (pittori e musicisti,
poeti e scrittori (18)) e attore dilettante di un certo talento (19). Yolande
de Polastron, contessa de Polignac era la sua amante e ottenne per lui
importanti incarichi militari. A Versailles era a capo della fazione dei
Polignac ed era molto legato al conte d'Artois, col quale condivideva anche
l’amore per l’arte.
La sua storia di collezionista
iniziò nel 1779 quando partecipò all’asta di Trouard dove acquistò una marina
di Adriaen van de Velde (20) e l’anno dopo, da Tronchin, un paesaggio, questa
volta di Cuyp (21). Arte dei Paesi Bassi, quindi. E anche se partecipò
personalmente a queste vendite, molto probabilmente la scelta di tali opere
derivava da consigli di Le Brun. Fra le sue successive acquisizioni, fatte
tramite mercanti d’arte, vi era anche il Ritratto
di Hélene Fourment con i figli di Rubens (22), che fino al 1779 era
nella collezione de Jully (23), il ritratto del Presidente Richardot (24)
di van Dyck e Un filosofo in meditazione di Rembrandt (25).
L’amore per l’arte nordica del
Seicento sfumò però pochi anni più tardi e lasciò il campo al mecenatismo a
favore dei giovani artisti francesi. Nel 1784 (26) Le Brun organizzò la vendita
(27) delle opere straniere della collezione di Vaudreuil, mentre la moglie
eseguiva il già citato ritratto del collezionista, che nel 1785 avrebbe
acquistato due delle sue opere di storia esposte al Salon (28).
Tra il 1776 e il 1777 la pittrice
ricevette l’ordine di copiare quattro ritratti di altri autori di Maria
Antonietta per richieste di diplomatici esteri, ma quella non era la strada
giusta per arrivare ad essere la ritrattista ufficiale della regina. In quel
periodo l’imperatrice Maria Teresa scriveva spesso alla figlia lontana
chiedendole ansiosamente di avere un suo ritratto, per poterla avere con sé a
Vienna almeno in effigie. Numerosi artisti (tra i molti Liotard e Krantzinger
(29)) si cimentarono in questa impresa per una decina di anni, ma l’esigente
imperatrice non era mai soddisfatta dei dipinti che le venivano sottoposti.
Ormai
la ricerca di un artista in grado di soddisfare madre e figlia era disperata:
nel 1774 e nel 1777 Maria Antonietta scrive sconsolata:
- C’est bien à moi de me désoler de n’avoir pu encore trouver un peintre
qui attrape ma ressemblance; si j’en trouvais un, je lui donnerais tout le
temps qu’il voudrait, et quand même il pourrait en faire qu’une mauvaise copie,
j’aurais un grand plaisir de la consacrer à ma chere maman.
- Je me suis mise à la discrétion du peintre, pour autant qu’il voudra, et
dans l’attitude qu’il voudra. Je donnerais tout au monde pour qu’il put réussir
et satisfaire ma chere maman (30).
Finalmente nel 1778 per
assolvere questo compito fu chiamata Elisabeth, che si recò a corte per
eseguire il suo primo ritratto dal vero della regale coetanea
(30). Non si sa come mai fu scelta proprio lei per questo nuovo ritratto della
regina. Dal carteggio fra Maria Antonietta e sua madre si coglie una certa
esasperazione da parte di entrambe le donne: sembra quasi che tutti i
ritrattisti di Parigi fossero stati messi alla prova uno per volta e nel 1778
Elisabeth era ormai abbastanza famosa (31) per poter essere inclusa nella rosa
dei partecipanti a questa singolare competizione, inoltre, aveva da poco
ritratto la duchessa di Chartres (32), cugina di Maria Antonietta.
Anche se la pittrice non fu molto
contenta del dipinto, poiché si trattava di un ritratto ufficiale in cui la
regina doveva indossare uno di quei pomposi abiti di satin con robe à
paniers che Elisabeth aborriva, l’imperatrice ne fu a dir poco entusiasta
(33) e Maria Antonietta trovò finalmente la persona adatta a immortalarla sulla
tela: non solo un’ottima pittrice, ma anche una giovane donna che la capiva e
con la quale poteva confidarsi durante le lunghe sedute di posa.
Diventare la ritrattista ufficiale
della regina fu per Elisabeth un onore grandissimo e si può dire che ella
mantenne il suo ruolo per tutta la vita, continuando a eseguire ritratti della
regina anche dopo la rivoluzione. La sua non era una posizione politica, ma una
vera e propria adorazione: nel 1817 arriverà a dipingere un’apoteosi di Maria
Antonietta che ricorda una barocca assunzione della Vergine, più che la
consacrazione allegorica di una sovrana. La preferenza accordatale dall’autrichienne
non solo le permise di viaggiare per tutte le corti europee con un passaporto
d’eccezione, ma le aprì ben presto le porte dell’Académie Royale,
che altrimenti le sarebbero rimaste serrate.
Elisabeth desiderava ardentemente
essere accolta dall’importante istituzione già nel 1775. All’epoca aveva
vent’anni e tentò di insinuarsi nell’accademia offrendo in dono due ritratti
ricavati da incisioni: quello del cardinale André-Hercule de Fleury (1653-1743)
e quello di Jean de La Bruyère (1645-1696) (34). Li inviò a d’Alembert, allora
segretario dell’Accademia, con una lettera in cui diceva che avrebbe voluto
vederli nella sala delle riunioni. Il gesto grossolanamente adulatore le fruttò
una lusinghiera lettera di ringraziamento da parte di d’Alembert, una sua
visita nell’atelier della pittrice e un invito alle assemblee pubbliche
dell’istituzione (35).
Dopo questa parentesi e dopo un
breve periodo in cui tentò di tenere delle allieve (36), Elisabeth iniziò a
preparare il terreno per un secondo e ben più ambizioso assalto all’Académie.
Dal 1779 cominciò a eseguire una
lunga serie di dipinti di storia. Era infatti in questa categoria (il grand
genre) che voleva essere ammessa, non per un genere minore come il ritratto
o la natura morta, ritenuti più confacenti alle donne pittrici. Già Rosalba
Carriera, da lei considerata un alto esempio per tutte le artiste (37), pur
essendo rinomata e richiestissima per i suo delicati ritratti (come Elisabeth,
d’altronde) aveva consegnato come morceau de reception una Ninfa,
che si poteva considerare un dipinto di storia. La prima opera della Vigée Le
Brun fu l’allegoria L’Innocenza cerca rifugio nelle
braccia della Giustizia, eseguita prima a pastello, poi a olio (38). È
dell’anno successivo, invece, il quadro che donerà nel 1783 all’Accademia, dopo
esserne divenuta membro ufficiale (quindi, nel senso stretto del termine, non
era un morceau de reception!): La Pace che
riporta l’Abbondanza (39). Per la realizzazione di quest’opera, accolta
con tripudio dai critici e dal pubblico, Elisabeth doveva essere ben grata a
suo marito, poiché la composizione deriva direttamente da un disegno di Rubens
che nel 1780 era nella collezione Le Brun. Nessuno si accorse di questa
coincidenza (40), forse perché, al momento dell’esposizione al Salon,
erano già passati tre anni dalla vendita dello studio rubensiano.
Sempre del 1780 è un pastello di Venere che lega le ali a Cupido (42), terminato,
secondo le memorie della pittrice, fra una doglia e l’altra la sera in cui
diede alla luce sua figlia Julie (43) e destinato al conte de Vaudreuil. Del
1781, invece, sono Giunone che chiede la cintura a Venere e Amore
prova una freccia in presenza di Venere, entrambi a olio su tela (44).
Interruppe questa serie di dipinti
di storia un viaggio nelle Fiandre con il marito. Anche questa volta fu grazie
a lui che la pittrice poté acquisire importanti nozioni artistiche ed eseguire
il famoso Autoritratto con cappello di paglia che
convinse definitivamente Vernet a chiedere che Elisabeth fosse ammessa all’Academié
(45).
Nel 1781 il principe Charles
Joseph de Ligne (46) mise in vendita a Bruxelles, nel palazzo Bel-Œil,
la sua collezione d’arte e Jean Baptiste Pierre Le Brun non voleva perdere
l’occasione di partecipare all’asta. Elisabeth fu molto felice di conoscere
l'amabile generale belga, che la accompagnò a visitare la sua galleria dove
ammirai molti capolavori, soprattutto alcuni ritratti di van Dyck e delle teste
di Rubens… (47). Purtroppo la pittrice, come in molte altre
occasioni (48), non ci fornisce altre informazioni più circostanziate su questa
ricca collezione, limitandosi a decantare le doti morali e mondane del loro
illustre ospite. Comunque il viaggio non si limitò, ovviamente, alla vendita de
Ligne, e portò la pittrice a contatto diretto con un gran numero di opere
fiamminghe e olandesi, non solo nelle collezioni private, ma anche nelle
chiese, dove le pale di Rubens le parvero ancora più belle (49), e ad Amsterdam,
dove, al palazzo del comune, vide un quadro di Wanols [sic] con i
borgomastri vestiti di nero, bello e vivo (50).
Ad Anversa, nella collezione di
Jean Michel Joseph van Havre, c’era il famoso Chapeau
de paille (51) di Rubens, che solo pochi viaggiatori esperti d’arte
avevano avuto modo di vedere. L’incontro con quest’opera fu per la Vigée Le
Brun un’emozione indescrivibile. Parla dell’evento quasi come di un’apparizione
miracolosa:
…ad Anversa trovai (…) il
famoso Cappello di paglia che di recente è stato
venduto a un inglese per una cospicua somma. Questo quadro stupendo rappresenta
una delle mogli [sic] di Rubens; il suo grande effetto sta nei due diversi tipi
di illuminazione prodotti dalla luce del giorno e da quella del sole; quindi i
toni chiari sono al sole, e i toni, che in mancanza di altra parola devo
chiamare ombre, sono prodotti dalla luce del giorno. Forse solo un pittore può
apprezzare tutta la potenza di esecuzione dispiegata qui da Rubens. Questo
quadro mi mandò in visibilio e m'ispirò
a tal punto che feci il mio autoritratto a Bruxelles ricercando lo stesso
effetto. Mi ritrassi con un cappello di paglia, con una piuma e una ghirlanda
di fiori, e con una tavolozza in mano. Quando il ritratto fu esposto al Salone,
oso dire che aumentò molto la mia fama. Il celebre Muller
l'ha inciso; ma lei deve intuire che le ombre nere dell'incisione tolgono
tutto l'effetto di un quadro del genere (52).
Possiamo qui notare il tipo di
approccio che la pittrice aveva nei confronti delle opere dei grandi maestri e
dell’uso che ne ha fatto nei suoi quadri. Non erano solo banali fonti di
composizioni o costumi, ma anche di soluzioni tecniche particolarissime, di cui
solo un pittore esperto si può rendere conto e che solo pochi riescono a
riprodurre.
L’Autoritratto
fu esposto nel 1782 al Salon de la Correspondance e l’anno successivo a
quello dell’Académie e riscosse critiche eccellenti (53). Anche in
questo caso nessuno si accorse del plagio: come già ricordato il dipinto di
Rubens era sconosciuto ai più e la traduzione che la Vigée Le Brun ne aveva
fatto non ne avrebbe comunque reso subito evidente la derivazione.
Peu
de temps aprés mon retour de Flandre, en 1783, [l’Autoritratto con cappello di paglia] et
plusieurs autres de mes ouvrages décidèrent Joseph Vernet a me proposer comme
membre de l’Académie royale de peinture. M. Pierre (54), alors premier peintre
du Roi, s’y opposait fortement, ne voulant pas, disait-il, que l’on recut des
femmes, et pourtant madame Vallayer-Coster, qui peignait parfaitement les
fleurs, était déja reçue; je crois même que madame Vien l’était aussi. Quoi
qu’il en soit, M. Pierre, peintre fort médiocre, car il ne voyait dans la
peinture que le maniement de la brosse, avait de l’esprit; de plus, il était
riche, ce qui lui donnait les moyens de recevoir avec faste les artistes, qui
dans ce temps étaient moins fortunés qu’ils ne le sont aujourd’hui. Son
opposition aurait donc pu me devenir fatale, si dans ce temps-la tous les vrais
amateurs n’avaient pas été associés à l’Académie de peinture, et s’ils
n’avaient formé, en ma faveur, une cabale contre celle de M. Pierre. C’est alors
qu’on fit ce couplet:
A MADAME LE BRUN…
Au salon ton art
vainqueur
Devrait être en
lumiere.
Pour te ravir cet
honneur,
Lise, il faut avoir
le cœur
De Pierre, de
Pierre, de Pierre.
Enfin je fus reçue. M. Pierre alors fit courir le bruit
que c’était par ordre de la cour qu’on me recevait. Je pense bien en effet que
le Roi et la Reine avaient été assez bons pour désirer me voir entrer à
l’Académie; mais voilà tout. Je donnai pour tableau de réception la Paix qui
ramène l’Abondance (55).
La pittrice minimizza
l’operato dei reali di Francia, non volendo assolutamente ammettere che il suo
talento necessitasse una tale raccomandazione, ma in realtà il re e la regina
fecero forti pressioni per riuscire a far entrare Elisabeth all’Accademia con
un loro ordine, in modo che si passasse sopra alla regola che vietava agli
accademici ogni rapporto col commercio (56). Per quanto insista,
nei Procès-verbaux sull’ammissione della pittrice leggiamo:
Sa Majesté m’a fait l’honneur de me demander s’il n’y avoit pas moyen, sans
détruire la loi, de faire admettre Madame Le Brun dans cette Compagnie, qu’il
est intéressant de soutenir dans toute la rigueur des Statuts, surtout depuis
que Votre Majesté a accordé la liberté aux Arts. J’ai eu I’honneur de lui répondre
que la Protection dont elle honoroit la Dame Le Brun tomboit sur un sujet assez
distingué pour qu’une exception en sa faveur devint plutot une confirmation
qu’une infraction de la loi si elle étoit motivée sur cette respectueuse
Protection, et que Votre Majesté voulut bien l’autoriser par un ordre formel. (…)
Fondée sur un aussi puissant motif que celui de la protection de la Reine,
étoit bien plutot une confirmation qu’une infraction de la loi (57).
Pierre non poté fare nulla
per impedire l’ammissione di Elisabeth, ma si prese due piccole rivincite. Il
31 maggio del 1783 fu ammessa all’Académie, insieme alla nostra, anche
Adelaide Labille-Guiard (58), certo in modo più regolare e Pierre ne fece
l’emblema della legittimità contro la scorrettezza della Vigée Le Brun che
venne "punita" con l’ammissione fuori da ogni categoria (59).
La risposta della pittrice fu la
Pace che riporta l’Abbondanza: se gli accademici
non si volevano pronunciare su che genere di pittrice ella fosse, lei
proclamava la sua abilità di dipingere soggetti storici.
Dopo l’ammissione all’Accademia,
la vita di Elisabeth non cambiò molto. Era già molto famosa, era pittrice di
corte e le richieste di ritratti, autoritratti e di allegorie di piccolo
formato fioccavano da ogni parte: nobili e non, francesi e stranieri, tutti
volevano possedere una sua opera.
Ma la ricerca iconografica di
Elisabeth non era finita. Ogni nuovo evento, ogni nuovo incontro poteva
incrementare la sua conoscenza di dipinti a cui potersi ispirare. Nella Parigi
degli anni Settanta e Ottanta vi erano ormai molte collezioni (sia pubbliche
che private) e molti amateurs che davano una grande importanza all’arte
fiamminga e olandese.
Tra il 1775 e il 1785
d’Angivillier (60) acquisì per le collezioni reali più di 100 dipinti
fiamminghi e olandesi. Nel 1777 gli arrivarono due Rubens da Bruxelles: Pierre
acquistò per suo conto alla vendita degli averi dei Gesuiti ordinata
dall’imperatore Giuseppe II d’Austria il Martirio di S. Liévin (già
sull’altare maggiore della chiesa dei Gesuiti di Gand), mentre Bosschaert
riuscì ad ottenere l’Adorazione dei Magi. Per sé comprò alla vendita
Marigny nel 1782 opere di Berchem, Potter, van Huysum e Wouwerman. Possedeva
sei paesaggi di van Der Werf, due nature morte di fiori di van Huysum, paesaggi
di van Goyen e di Ruisdael . Il pezzo più importante della sua collezione
era il San Matteo ispirato da un angelo di Rembrandt. Il suo pittore
preferito era però Cuyp, di cui acquistò una Partenza per una passeggiata
alla vendita van Slingeland (61).
La pittrice poi conosceva bene la
collezione di Charles Alexandre de Calonne, le cui
opere derivavano quasi esclusivamente dalla galleria Le Brun. Il ministro
doveva aver acquisito un certo gusto per l’arte fiamminga e olandese nel 1778,
mentre era intendente delle Fiandre e dell’Artois. I maggiori acquisti
avvennero però nel 1783, quando era controllore generale delle finanze. Nel
1788 Le Brun si occupò della vendita di buona parte della collezione che
Calonne mise poi definitivamente all’asta a Londra nel 1795. Fra le opere
presenti nella collezione di Calonne a Parigi, c’era anche il Ritratto di Saskia van Ulenborch (62) di
Rembrandt. In Inghilterra, nel 1804, la pittrice si ricorderà degli effetti di
luce e ombra del quadro per realizzare il ritratto di Arabella
Diana duchessa del Dorset (63).
Nel 1786 la Vigée Le Brun farà
visita a Madame du Barry nel suo castello di Louveciennes. Metà della
collezione del marito Jean du Barry era composta da opere di pittori olandesi,
mentre la du Barry aveva gusti più vari e più eclettici, collezionava ciò che
le piaceva, senza particolare attenzione a mode o ad artisti particolari. Per
lo più le opere fiamminghe e olandesi che aveva nel suo castello erano paesaggi
(Ruisdael, van Goyen, Berchem e van de Neer) e scene di genere (Teniers, van
Ostade, Dou, Ter Borch) (64).
Gli anni Ottanta del Settecento
videro il culmine e la caduta della Vigée le Brun in patria. Già nel 1783, poco
dopo l’ammissione all’Académie, ci furono aspre polemiche per il suo
ritratto di Maria Antonietta "en chemise". La regina era stata
ritratta a mezzo busto con una semplice camicia di mussola bianca, che ai
critici e all’opinione pubblica sembrava più che altro una camicia da notte. Il
tentativo diplomatico della pittrice di mostrare la tanto odiata autrichienne
in abiti meno ricchi del consueto fu invece inteso come un oltraggio e
un’indecenza: una regina doveva sempre apparire tale e un abbigliamento così
informale non poteva apparire in un ritratto ufficiale.
Nel 1787 ormai il clima politico
era rovente. Le accuse maggiori per lo sfacelo dello Stato erano a carico della
regina ed era necessario dimostrare alla Francia che Maria Antonietta non era
un mostro avido di lusso e ricchezze. Ancora una volta la traduzione pittorica
della Vigée Le Brun non ebbe il successo sperato: si trattava di una grande tela (65) in cui la regina doveva apparire
circondata dai suoi figli, in un atteggiamento materno e regale capace di
rassicurare il popolo francese ormai sull’orlo del tracollo. Il compito era
difficile e la pittrice chiese consiglio a David su quale tipo di composizione
egli ritenesse più adatto. Il pittore della rivoluzione le suggerì una Sacra Famiglia di Raffaello (66):
Madame Vigée Le Brun lui parla [à David] un jour de l'embarras ou elle se
trouvait pour composer le tableau en pied de la Reine Marie-Antoinette, avant
sur les genoux le Dauphin, et pres d'elle, Madame, depuis duchesse d'Angôuleme.
"Votre mari a dans sa bibliotheque des œuvres de Raphael, lui dit David,
faites apporter ces gravures et nous allons trouver votre affaire." En
effet, David choisit la Sainte Famille, et la montrant à Madame le Brun:
"Voilà votre tableau, s'ecria-t-il, la Vierge sera la Reine; l'enfant
Jesus, le Dauphin; et le Saint Jean, la Princesse." "Mais, mon cher
David, lui objecta Madame Le Brun, ne craignez-vous pas qu'on ne me reproche
d'avoir pillé?" Bah! faites comme Moliere, prenez votre bien ou vous le
trouvez. Je vous certifie que, quand vous aurez ajusté tout cela avec des
habillements à la mode, et des meubles de cette epoque, personne ne pourra se
douter qu'une composition de Raphael vous ait servi de modéle." Ainsi que
l'avait predit David, personne ne s'aperqut de ce plagiat (67).
Nessuno si accorse del
plagio, è vero, ma la grande tela arrivò al Salon priva della cornice e
i maligni dissero che non erano bastati i soldi anche per quella. Per quanto
riguarda l’ideale della buona madre che il quadro doveva rappresentare, non si
ottenne l’effetto voluto. Nemmeno gli angelici volti dei principini riuscirono
a distogliere l’attenzione dalla potente figura di Maria Antonietta, che tutto
ha, tranne l’aria di una madre affettuosa. Non c’erano più speranze per la
regina: e con Maria Antonietta doveva per forza cadere anche la sua ritrattista
ufficiale, la sua fedelissima amica, la sua confidente. Ci furono prima le
invidie dei pittori contemporanei, gelosi della preferenza accordatale dai
nobili e dai ricchi francesi e stranieri, che la pagavano profumatamente (68).
Poi ci fu il falso carteggio che la accusava di essere amante di Calonne (69).
Il suo salotto però continuava a
essere frequentato assiduamente da molti artisti e varia nobiltà. Una sera del
1788 il fratello Etienne le lesse una parte del Viaggio
di Anacharsis, in cui si illustrava una cena "alla greca", e lei
decise di organizzarne una simile per gli amici che sarebbero arrivati di lì a
poco (70). Elisabeth cercava di continuare la sua vita come se nulla intorno a
lei stesse cambiando. Con questa cena cercò forse di mostrarsi aperta alla moda
neoclassica, di cui non aveva ancora scoperto le potenzialità artistiche,
probabilmente solo per opportunismo politico, essendo la cultura rivoluzionaria
orientata su quel gusto, e per tentare di tacitare quanti la criticavano. Non
poteva funzionare: per quella serata spese appena 15 franchi, ma a Parigi si
trasformarono subito in 20.000, fino a sfiorare gli 80.000 in Russia. È di
quegli anni anche l’accusa, terribile per una pittrice, che François Guillaime
Ménageot fosse, non solo suo amante, ma anche l’autore delle sue opere
migliori.
L’ultimo rifugio rimasto alla
pittrice era la sua casa, ma nel 1789 i popolani la presero d’assalto: ruppero
i vetri e gridarono slogan rivoluzionari contro di lei. Non perdonavano a Madame
Vigée Le Brun il fatto di essere una parvenu, di essersi dimenticata
delle sue origini accomunandosi alla corte e disprezzando il popolo come una
nobile di alto lignaggio. Tutto questo era veramente troppo.
La pittrice cadde in un grave
stato di depressione, smise di dipingere e tentò per un’ultima volta di
rimanere a Parigi, nonostante tutto, nascondendosi in casa di amici, prima
dall’architetto Brogniart agli Invalides, poi in Chaussée d’Antin
presso i Rivière, che erano parenti di sua cognata.
Il 5 ottobre di quell’anno Luigi
XVI e Maria Antonietta venivano portati a Parigi da Versailles, la notte
seguente Elisabeth, travestita da popolana, prese con sé sua figlia e la
governante e fuggì dalla Francia, trovando rifugio in Italia.