CAPITOLO II

1775-1789: Madame Vigée-Le Brun e la Francia

 

Il pubblico, così appassionatamente innamorato della propria immagine, non ama di una passione

minore l'artista al quale da più volentieri incarico di raffigurarla.(1)

 

Il 1775 fu un anno cruciale per la formazione artistica di Elisabeth. Jacques François Le Sevre (1724-1810), il suo patrigno, decise di traslocare all’hotel Lubert, in rue de Cléry. L’edificio era stato appena terminato ed era di proprietà di Jean-Baptiste-Pierre Le Brun.
Monsieur Le Brun (…) vi abitava (…) andai a vedere i magnifici quadri appartenenti a tutte le scuole, di cui il suo appartamento era pieno (2).
Jean-Baptiste-Pierre Le Brun (1748-1813) era un personaggio complesso. Aveva iniziato la sua carriera come pittore, sulle orme del ben più famoso nonno Charles, come allievo di Boucher e Deshayes. Il padre era commerciante d’arte e presto anche Le Brun figlio dovette impiegarsi in tal senso, abbandonando la tavolozza. Dette comunque il meglio di sé come fine conoscitore d’arte. Non solo aveva una grande collezione privata, ma era anche mercante astuto, critico intelligente ed attento esperto d’arte di fama europea. Era lui a consigliare gli acquisti per le collezioni reali e curava collezioni private di alto livello (3), come quelle di Grimod de la Reynière, del conte d’Artois, del duca d’Orléans (4) e, come vedremo, del duca di Vaudreuil. L’hôtel Lubert, progettato sotto la sua stretta supervisione, aveva una grande sala illuminata da lucernari: qui era esposta la sua collezione e si tenevano le aste. Inoltre, dal 1789, Le Brun vi accolse opere contemporanee di artisti che non appartenevano all’accademia.
La più grande passione del collezionista era l’arte fiamminga e olandese: nel 1794, durante la rivoluzione, impedì con foga la distruzione delle petits tableaux flamands [e olandesi] connus sous le nom de curiosité (5) delle collezioni statali, considerate allora indegne di figurare vicino a nobili tele di storia. Fu lui, inoltre, a decretarne il successo nelle maggiori collezioni private francesi del Settecento. Scrisse molte opere, ma la più importante fu certo la Galerie des peintres flamands hollandais et allemands, in tre volumi, pubblicata in due parti, nel 1792 e nel 1796, e corredata di incisioni. Fra i tanti pittori citati in quest’opera vi è anche Vermeer (6), che all’epoca nessun altro teneva in grande considerazione, preferendogli, la maggior parte degli amateurs, Metsu, van Mieris, Ter Borch.
La pittura fiamminga e olandese stentò ad avere successo nella Francia del Settecento. Il primo a portare in patria opere di questa scuola fu il marchese de Voyer, un capitano dell’esercito che aveva partecipato alle recenti guerre tra le Fiandre e la Germania. Dopo di lui ci fu la contessa de Verrue (7) e quindi altri amateurs come il principe de Conti (8), Gagny, Rendon de Boisset e il duca di Choiseul (9).
Le Brun accolse volentieri nella sua casa la giovane e bella Elisabeth, le prestò molti quadri perché li copiasse e si accorse ben presto che il talento di lei non era poca cosa. Egli aveva un accordo con un mercante d’arte olandese, di cui doveva sposare la figlia, ma pensò che un legame con la promettente pittrice poteva essere molto più fruttuoso per il futuro. Dopo appena sei mesi dal loro primo incontro Le Brun le chiese di sposarlo in segreto (per non rovinare i rapporti col padre della precedente promessa sposa). Elisabeth era reticente. Le Brun era molto gentile con lei, ma era anche noto per essere un libertino e un avventato giocatore. D’altra parte le insistenze di Jeanne Maissin che era certa che la figlia avesse trovato un buon partito e il comportamento del patrigno, che intascava tutti i suoi guadagni trattandola malissimo, convinsero Elisabeth a dire, all’oscuro di tutti, il fatidico sì l'undici gennaio del 1776 nella chiesa di Saint Eustache (10).
Nelle sue memorie la pittrice si lamenta instancabilmente del marito, che, come e peggio di Le Sevre, si impossessava dei suoi compensi dilapidandoli al gioco o con donne di malaffare. Eppure non fu un matrimonio del tutto fallimentare, fu, piuttosto, an immensely complex marriage (11). Entrambi i coniugi ebbero dei grandi vantaggi dalla loro unione, lui dal punto di vista economico, lei dal punto di vista artistico e sociale.
La sorte che me la destinava per moglie le riservava i mezzi di coltivare un’arte alla quale mi ero dedicato io stesso. Grazie a trent’anni di commercio potevo metterle sotto gli occhi tutto ciò che le diverse scuole dei maestri più famosi offrono di più bello e di più prezioso nei diversi generi [...] Lavorammo dunque insieme, nella emulazione reciproca e ciò che avevo previsto accadde: continuamente incoraggiata nel suo amore per la pittura, a contatto con i bei quadri che riempivano i miei magazzini, con i capolavori dei Rubens, dei Rembrandt, dei Guidi, degli Albani, la cittadina Lebrun attinse a quel grado di perfezione che le ha fatto assegnare da vari anni uno dei primi posti tra i grandi pittori della nostra scuola (12).
Oltre a tutto questo, un altro merito di Le Brun fu quello di permettere alla moglie di avere un suo salotto dove ricevere.
La cittadina Lebrun, seguendo il suo gusto per l’arte, riuniva a casa sua, una volta alla settimana, pittori, scrittori, architetti e musicisti. Poteva essere interessante vedere riuniti in un luogo modesto uomini eminenti in tutti i campi, sentire i Vernet, i Delille, i Lebrun [si tratta del poeta Lebrun-Pindare], i Chamfort applaudire la musica ammaliante dei Piccinni, dei Sacchini, dei Grétry, dei Martini e l’esecuzione brillante e superiore dei Viotti, dei Duport e dei Jason. Era una sorta di Lycée aperto a tutti i talenti e da cui era bandita ogni formalità. Erano le arti che fraternizzavano fra di loro, e coloro tra questi artisti che professavano la musica e non si spostavano mai senza esigere un diritto legittimo di presenza, sembravano troppo felici di fare senza alcuna ragione d’interesse l’omaggio dei loro talenti a una donna che ne sentiva il valore e che li ripagava del loro sacrificio con l’espressione sincera del piacere che provava (13).
Era un salotto molto diverso dagli altri, familiare, allegro, privo della pomposità e del peso dell’etichetta di corte. Non vi presero parte solo artisti, ma anche nobili e collezionisti d’arte famosi e fondamentali per la carriera di Elisabeth (sia per commissioni, sia per le opere in loro possesso) e per quella di suo marito, che, tuttavia, partecipava molto raramente alle serate della moglie.
Grazie a queste serate Elisabeth allargò sempre più la sua clientela e conobbe, fra gli altri, il conte di Vaudreil, che diventò suo committente, patrono e, forse, amante (14). Joseph-Hyacinthe-François de Paule de Rigaud, conte di Vaudreuil (1740-1817) era nato nella colonia francese di Santo Domingo e aveva intrapreso la carriera militare come tutti gli uomini della sua famiglia fin dal tempo delle Crociate. Ma Vaudreuil era soprattutto un uomo raffinato e dai tratti delicati, come Elisabeth ci ricorda più volte nelle sue memorie (15) e come ci dimostra nel ritratto che gli fece nel 1784 (17). Era un appassionato collezionista (16), mecenate di molti artisti francesi suoi contemporanei (pittori e musicisti, poeti e scrittori (18)) e attore dilettante di un certo talento (19). Yolande de Polastron, contessa de Polignac era la sua amante e ottenne per lui importanti incarichi militari. A Versailles era a capo della fazione dei Polignac ed era molto legato al conte d'Artois, col quale condivideva anche l’amore per l’arte.
La sua storia di collezionista iniziò nel 1779 quando partecipò all’asta di Trouard dove acquistò una marina di Adriaen van de Velde (20) e l’anno dopo, da Tronchin, un paesaggio, questa volta di Cuyp (21). Arte dei Paesi Bassi, quindi. E anche se partecipò personalmente a queste vendite, molto probabilmente la scelta di tali opere derivava da consigli di Le Brun. Fra le sue successive acquisizioni, fatte tramite mercanti d’arte, vi era anche il Ritratto di Hélene Fourment con i figli di Rubens (22), che fino al 1779 era nella collezione de Jully (23), il ritratto del Presidente Richardot (24) di van Dyck e Un filosofo in meditazione di Rembrandt (25).
L’amore per l’arte nordica del Seicento sfumò però pochi anni più tardi e lasciò il campo al mecenatismo a favore dei giovani artisti francesi. Nel 1784 (26) Le Brun organizzò la vendita (27) delle opere straniere della collezione di Vaudreuil, mentre la moglie eseguiva il già citato ritratto del collezionista, che nel 1785 avrebbe acquistato due delle sue opere di storia esposte al Salon (28).
Tra il 1776 e il 1777 la pittrice ricevette l’ordine di copiare quattro ritratti di altri autori di Maria Antonietta per richieste di diplomatici esteri, ma quella non era la strada giusta per arrivare ad essere la ritrattista ufficiale della regina. In quel periodo l’imperatrice Maria Teresa scriveva spesso alla figlia lontana chiedendole ansiosamente di avere un suo ritratto, per poterla avere con sé a Vienna almeno in effigie. Numerosi artisti (tra i molti Liotard e Krantzinger (29)) si cimentarono in questa impresa per una decina di anni, ma l’esigente imperatrice non era mai soddisfatta dei dipinti che le venivano sottoposti.
Ormai la ricerca di un artista in grado di soddisfare madre e figlia era disperata: nel 1774 e nel 1777 Maria Antonietta scrive sconsolata:
- C’est bien à moi de me désoler de n’avoir pu encore trouver un peintre qui attrape ma ressemblance; si j’en trouvais un, je lui donnerais tout le temps qu’il voudrait, et quand même il pourrait en faire qu’une mauvaise copie, j’aurais un grand plaisir de la consacrer à ma chere maman.
- Je me suis mise à la discrétion du peintre, pour autant qu’il voudra, et dans l’attitude qu’il voudra. Je donnerais tout au monde pour qu’il put réussir et satisfaire ma chere maman (30).
Finalmente nel 1778 per assolvere questo compito fu chiamata Elisabeth, che si recò a corte per eseguire il suo primo ritratto dal vero della regale coetanea (30). Non si sa come mai fu scelta proprio lei per questo nuovo ritratto della regina. Dal carteggio fra Maria Antonietta e sua madre si coglie una certa esasperazione da parte di entrambe le donne: sembra quasi che tutti i ritrattisti di Parigi fossero stati messi alla prova uno per volta e nel 1778 Elisabeth era ormai abbastanza famosa (31) per poter essere inclusa nella rosa dei partecipanti a questa singolare competizione, inoltre, aveva da poco ritratto la duchessa di Chartres (32), cugina di Maria Antonietta.
Anche se la pittrice non fu molto contenta del dipinto, poiché si trattava di un ritratto ufficiale in cui la regina doveva indossare uno di quei pomposi abiti di satin con robe à paniers che Elisabeth aborriva, l’imperatrice ne fu a dir poco entusiasta (33) e Maria Antonietta trovò finalmente la persona adatta a immortalarla sulla tela: non solo un’ottima pittrice, ma anche una giovane donna che la capiva e con la quale poteva confidarsi durante le lunghe sedute di posa.
Diventare la ritrattista ufficiale della regina fu per Elisabeth un onore grandissimo e si può dire che ella mantenne il suo ruolo per tutta la vita, continuando a eseguire ritratti della regina anche dopo la rivoluzione. La sua non era una posizione politica, ma una vera e propria adorazione: nel 1817 arriverà a dipingere un’apoteosi di Maria Antonietta che ricorda una barocca assunzione della Vergine, più che la consacrazione allegorica di una sovrana. La preferenza accordatale dall’autrichienne non solo le permise di viaggiare per tutte le corti europee con un passaporto d’eccezione, ma le aprì ben presto le porte dell’Académie Royale, che altrimenti le sarebbero rimaste serrate.
Elisabeth desiderava ardentemente essere accolta dall’importante istituzione già nel 1775. All’epoca aveva vent’anni e tentò di insinuarsi nell’accademia offrendo in dono due ritratti ricavati da incisioni: quello del cardinale André-Hercule de Fleury (1653-1743) e quello di Jean de La Bruyère (1645-1696) (34). Li inviò a d’Alembert, allora segretario dell’Accademia, con una lettera in cui diceva che avrebbe voluto vederli nella sala delle riunioni. Il gesto grossolanamente adulatore le fruttò una lusinghiera lettera di ringraziamento da parte di d’Alembert, una sua visita nell’atelier della pittrice e un invito alle assemblee pubbliche dell’istituzione (35).
Dopo questa parentesi e dopo un breve periodo in cui tentò di tenere delle allieve (36), Elisabeth iniziò a preparare il terreno per un secondo e ben più ambizioso assalto all’Académie.
Dal 1779 cominciò a eseguire una lunga serie di dipinti di storia. Era infatti in questa categoria (il grand genre) che voleva essere ammessa, non per un genere minore come il ritratto o la natura morta, ritenuti più confacenti alle donne pittrici. Già Rosalba Carriera, da lei considerata un alto esempio per tutte le artiste (37), pur essendo rinomata e richiestissima per i suo delicati ritratti (come Elisabeth, d’altronde) aveva consegnato come morceau de reception una Ninfa, che si poteva considerare un dipinto di storia. La prima opera della Vigée Le Brun fu l’allegoria L’Innocenza cerca rifugio nelle braccia della Giustizia, eseguita prima a pastello, poi a olio (38). È dell’anno successivo, invece, il quadro che donerà nel 1783 all’Accademia, dopo esserne divenuta membro ufficiale (quindi, nel senso stretto del termine, non era un morceau de reception!): La Pace che riporta l’Abbondanza (39). Per la realizzazione di quest’opera, accolta con tripudio dai critici e dal pubblico, Elisabeth doveva essere ben grata a suo marito, poiché la composizione deriva direttamente da un disegno di Rubens che nel 1780 era nella collezione Le Brun. Nessuno si accorse di questa coincidenza (40), forse perché, al momento dell’esposizione al Salon, erano già passati tre anni dalla vendita dello studio rubensiano.
Sempre del 1780 è un pastello di Venere che lega le ali a Cupido (42), terminato, secondo le memorie della pittrice, fra una doglia e l’altra la sera in cui diede alla luce sua figlia Julie (43) e destinato al conte de Vaudreuil. Del 1781, invece, sono Giunone che chiede la cintura a Venere e Amore prova una freccia in presenza di Venere, entrambi a olio su tela (44).
Interruppe questa serie di dipinti di storia un viaggio nelle Fiandre con il marito. Anche questa volta fu grazie a lui che la pittrice poté acquisire importanti nozioni artistiche ed eseguire il famoso Autoritratto con cappello di paglia che convinse definitivamente Vernet a chiedere che Elisabeth fosse ammessa all’Academié (45).
Nel 1781 il principe Charles Joseph de Ligne (46) mise in vendita a Bruxelles, nel palazzo Bel-Œil, la sua collezione d’arte e Jean Baptiste Pierre Le Brun non voleva perdere l’occasione di partecipare all’asta. Elisabeth fu molto felice di conoscere l'amabile generale belga, che la accompagnò a visitare la sua galleria dove ammirai molti capolavori, soprattutto alcuni ritratti di van Dyck e delle teste di Rubens… (47). Purtroppo la pittrice, come in molte altre occasioni (48), non ci fornisce altre informazioni più circostanziate su questa ricca collezione, limitandosi a decantare le doti morali e mondane del loro illustre ospite. Comunque il viaggio non si limitò, ovviamente, alla vendita de Ligne, e portò la pittrice a contatto diretto con un gran numero di opere fiamminghe e olandesi, non solo nelle collezioni private, ma anche nelle chiese, dove le pale di Rubens le parvero ancora più belle (49), e ad Amsterdam, dove, al palazzo del comune, vide un quadro di Wanols [sic] con i borgomastri vestiti di nero, bello e vivo (50).
Ad Anversa, nella collezione di Jean Michel Joseph van Havre, c’era il famoso Chapeau de paille (51) di Rubens, che solo pochi viaggiatori esperti d’arte avevano avuto modo di vedere. L’incontro con quest’opera fu per la Vigée Le Brun un’emozione indescrivibile. Parla dell’evento quasi come di un’apparizione miracolosa:
…ad Anversa trovai (…) il famoso Cappello di paglia che di recente è stato venduto a un inglese per una cospicua somma. Questo quadro stupendo rappresenta una delle mogli [sic] di Rubens; il suo grande effetto sta nei due diversi tipi di illuminazione prodotti dalla luce del giorno e da quella del sole; quindi i toni chiari sono al sole, e i toni, che in mancanza di altra parola devo chiamare ombre, sono prodotti dalla luce del giorno. Forse solo un pittore può apprezzare tutta la potenza di esecuzione dispiegata qui da Rubens. Questo quadro mi mandò in visibilio e m'ispirò
a tal punto che feci il mio autoritratto a Bruxelles ricercando lo stesso effetto. Mi ritrassi con un cappello di paglia, con una piuma e una ghirlanda di fiori, e con una tavolozza in mano. Quando il ritratto fu esposto al Salone, oso dire che aumentò molto la mia fama. Il celebre Muller l'ha inciso; ma lei deve intuire che le ombre nere dell'incisione tolgono tutto l'effetto di un quadro del genere (52).
Possiamo qui notare il tipo di approccio che la pittrice aveva nei confronti delle opere dei grandi maestri e dell’uso che ne ha fatto nei suoi quadri. Non erano solo banali fonti di composizioni o costumi, ma anche di soluzioni tecniche particolarissime, di cui solo un pittore esperto si può rendere conto e che solo pochi riescono a riprodurre.
L’Autoritratto fu esposto nel 1782 al Salon de la Correspondance e l’anno successivo a quello dell’Académie e riscosse critiche eccellenti (53). Anche in questo caso nessuno si accorse del plagio: come già ricordato il dipinto di Rubens era sconosciuto ai più e la traduzione che la Vigée Le Brun ne aveva fatto non ne avrebbe comunque reso subito evidente la derivazione.
Peu de temps aprés mon retour de Flandre, en 1783, [l’Autoritratto con cappello di paglia] et plusieurs autres de mes ouvrages décidèrent Joseph Vernet a me proposer comme membre de l’Académie royale de peinture. M. Pierre (54), alors premier peintre du Roi, s’y opposait fortement, ne voulant pas, disait-il, que l’on recut des femmes, et pourtant madame Vallayer-Coster, qui peignait parfaitement les fleurs, était déja reçue; je crois même que madame Vien l’était aussi. Quoi qu’il en soit, M. Pierre, peintre fort médiocre, car il ne voyait dans la peinture que le maniement de la brosse, avait de l’esprit; de plus, il était riche, ce qui lui donnait les moyens de recevoir avec faste les artistes, qui dans ce temps étaient moins fortunés qu’ils ne le sont aujourd’hui. Son opposition aurait donc pu me devenir fatale, si dans ce temps-la tous les vrais amateurs n’avaient pas été associés à l’Académie de peinture, et s’ils n’avaient formé, en ma faveur, une cabale contre celle de M. Pierre. C’est alors qu’on fit ce couplet:

A MADAME LE BRUN…

Au salon ton art vainqueur

Devrait être en lumiere.

Pour te ravir cet honneur,

Lise, il faut avoir le cœur

De Pierre, de Pierre, de Pierre.

Enfin je fus reçue. M. Pierre alors fit courir le bruit que c’était par ordre de la cour qu’on me recevait. Je pense bien en effet que le Roi et la Reine avaient été assez bons pour désirer me voir entrer à l’Académie; mais voilà tout. Je donnai pour tableau de réception la Paix qui ramène l’Abondance (55).
La pittrice minimizza l’operato dei reali di Francia, non volendo assolutamente ammettere che il suo talento necessitasse una tale raccomandazione, ma in realtà il re e la regina fecero forti pressioni per riuscire a far entrare Elisabeth all’Accademia con un loro ordine, in modo che si passasse sopra alla regola che vietava agli accademici ogni rapporto col commercio (56). Per quanto insista, nei Procès-verbaux sull’ammissione della pittrice leggiamo:
Sa Majesté m’a fait l’honneur de me demander s’il n’y avoit pas moyen, sans détruire la loi, de faire admettre Madame Le Brun dans cette Compagnie, qu’il est intéressant de soutenir dans toute la rigueur des Statuts, surtout depuis que Votre Majesté a accordé la liberté aux Arts. J’ai eu I’honneur de lui répondre que la Protection dont elle honoroit la Dame Le Brun tomboit sur un sujet assez distingué pour qu’une exception en sa faveur devint plutot une confirmation qu’une infraction de la loi si elle étoit motivée sur cette respectueuse Protection, et que Votre Majesté voulut bien l’autoriser par un ordre formel. (…) Fondée sur un aussi puissant motif que celui de la protection de la Reine, étoit bien plutot une confirmation qu’une infraction de la loi (57).
Pierre non poté fare nulla per impedire l’ammissione di Elisabeth, ma si prese due piccole rivincite. Il 31 maggio del 1783 fu ammessa all’Académie, insieme alla nostra, anche Adelaide Labille-Guiard (58), certo in modo più regolare e Pierre ne fece l’emblema della legittimità contro la scorrettezza della Vigée Le Brun che venne "punita" con l’ammissione fuori da ogni categoria (59).
La risposta della pittrice fu la Pace che riporta l’Abbondanza: se gli accademici non si volevano pronunciare su che genere di pittrice ella fosse, lei proclamava la sua abilità di dipingere soggetti storici.
Dopo l’ammissione all’Accademia, la vita di Elisabeth non cambiò molto. Era già molto famosa, era pittrice di corte e le richieste di ritratti, autoritratti e di allegorie di piccolo formato fioccavano da ogni parte: nobili e non, francesi e stranieri, tutti volevano possedere una sua opera.
Ma la ricerca iconografica di Elisabeth non era finita. Ogni nuovo evento, ogni nuovo incontro poteva incrementare la sua conoscenza di dipinti a cui potersi ispirare. Nella Parigi degli anni Settanta e Ottanta vi erano ormai molte collezioni (sia pubbliche che private) e molti amateurs che davano una grande importanza all’arte fiamminga e olandese.
Tra il 1775 e il 1785 d’Angivillier (60) acquisì per le collezioni reali più di 100 dipinti fiamminghi e olandesi. Nel 1777 gli arrivarono due Rubens da Bruxelles: Pierre acquistò per suo conto alla vendita degli averi dei Gesuiti ordinata dall’imperatore Giuseppe II d’Austria il Martirio di S. Liévin (già sull’altare maggiore della chiesa dei Gesuiti di Gand), mentre Bosschaert riuscì ad ottenere l’Adorazione dei Magi. Per sé comprò alla vendita Marigny nel 1782 opere di Berchem, Potter, van Huysum e Wouwerman. Possedeva sei paesaggi di van Der Werf, due nature morte di fiori di van Huysum, paesaggi di  van Goyen e di Ruisdael . Il pezzo più importante della sua collezione era il San Matteo ispirato da un angelo di Rembrandt. Il suo pittore preferito era però Cuyp, di cui acquistò una Partenza per una passeggiata alla vendita van Slingeland (61).
La pittrice poi conosceva bene la collezione di Charles Alexandre de Calonne, le cui opere derivavano quasi esclusivamente dalla galleria Le Brun. Il ministro doveva aver acquisito un certo gusto per l’arte fiamminga e olandese nel 1778, mentre era intendente delle Fiandre e dell’Artois. I maggiori acquisti avvennero però nel 1783, quando era controllore generale delle finanze. Nel 1788 Le Brun si occupò della vendita di buona parte della collezione che Calonne mise poi definitivamente all’asta a Londra nel 1795. Fra le opere presenti nella collezione di Calonne a Parigi, c’era anche il Ritratto di Saskia van Ulenborch (62) di Rembrandt. In Inghilterra, nel 1804, la pittrice si ricorderà degli effetti di luce e ombra del quadro per realizzare il ritratto di Arabella Diana duchessa del Dorset (63).
Nel 1786 la Vigée Le Brun farà visita a Madame du Barry nel suo castello di Louveciennes. Metà della collezione del marito Jean du Barry era composta da opere di pittori olandesi, mentre la du Barry aveva gusti più vari e più eclettici, collezionava ciò che le piaceva, senza particolare attenzione a mode o ad artisti particolari. Per lo più le opere fiamminghe e olandesi che aveva nel suo castello erano paesaggi (Ruisdael, van Goyen, Berchem e van de Neer) e scene di genere (Teniers, van Ostade, Dou, Ter Borch) (64).
Gli anni Ottanta del Settecento videro il culmine e la caduta della Vigée le Brun in patria. Già nel 1783, poco dopo l’ammissione all’Académie, ci furono aspre polemiche per il suo ritratto di Maria Antonietta "en chemise". La regina era stata ritratta a mezzo busto con una semplice camicia di mussola bianca, che ai critici e all’opinione pubblica sembrava più che altro una camicia da notte. Il tentativo diplomatico della pittrice di mostrare la tanto odiata autrichienne in abiti meno ricchi del consueto fu invece inteso come un oltraggio e un’indecenza: una regina doveva sempre apparire tale e un abbigliamento così informale non poteva apparire in un ritratto ufficiale.
Nel 1787 ormai il clima politico era rovente. Le accuse maggiori per lo sfacelo dello Stato erano a carico della regina ed era necessario dimostrare alla Francia che Maria Antonietta non era un mostro avido di lusso e ricchezze. Ancora una volta la traduzione pittorica della Vigée Le Brun non ebbe il successo sperato: si trattava di una grande tela (65) in cui la regina doveva apparire circondata dai suoi figli, in un atteggiamento materno e regale capace di rassicurare il popolo francese ormai sull’orlo del tracollo. Il compito era difficile e la pittrice chiese consiglio a David su quale tipo di composizione egli ritenesse più adatto. Il pittore della rivoluzione le suggerì una Sacra Famiglia di Raffaello (66):
Madame Vigée Le Brun lui parla [à David] un jour de l'embarras ou elle se trouvait pour composer le tableau en pied de la Reine Marie-Antoinette, avant sur les genoux le Dauphin, et pres d'elle, Madame, depuis duchesse d'Angôuleme. "Votre mari a dans sa bibliotheque des œuvres de Raphael, lui dit David, faites apporter ces gravures et nous allons trouver votre affaire." En effet, David choisit la Sainte Famille, et la montrant à Madame le Brun: "Voilà votre tableau, s'ecria-t-il, la Vierge sera la Reine; l'enfant Jesus, le Dauphin; et le Saint Jean, la Princesse." "Mais, mon cher David, lui objecta Madame Le Brun, ne craignez-vous pas qu'on ne me reproche d'avoir pillé?" Bah! faites comme Moliere, prenez votre bien ou vous le trouvez. Je vous certifie que, quand vous aurez ajusté tout cela avec des habillements à la mode, et des meubles de cette epoque, personne ne pourra se douter qu'une composition de Raphael vous ait servi de modéle." Ainsi que l'avait predit David, personne ne s'aperqut de ce plagiat (67).
Nessuno si accorse del plagio, è vero, ma la grande tela arrivò al Salon priva della cornice e i maligni dissero che non erano bastati i soldi anche per quella. Per quanto riguarda l’ideale della buona madre che il quadro doveva rappresentare, non si ottenne l’effetto voluto. Nemmeno gli angelici volti dei principini riuscirono a distogliere l’attenzione dalla potente figura di Maria Antonietta, che tutto ha, tranne l’aria di una madre affettuosa. Non c’erano più speranze per la regina: e con Maria Antonietta doveva per forza cadere anche la sua ritrattista ufficiale, la sua fedelissima amica, la sua confidente. Ci furono prima le invidie dei pittori contemporanei, gelosi della preferenza accordatale dai nobili e dai ricchi francesi e stranieri, che la pagavano profumatamente (68). Poi ci fu il falso carteggio che la accusava di essere amante di Calonne (69).
Il suo salotto però continuava a essere frequentato assiduamente da molti artisti e varia nobiltà. Una sera del 1788 il fratello Etienne le lesse una parte del Viaggio di Anacharsis, in cui si illustrava una cena "alla greca", e lei decise di organizzarne una simile per gli amici che sarebbero arrivati di lì a poco (70). Elisabeth cercava di continuare la sua vita come se nulla intorno a lei stesse cambiando. Con questa cena cercò forse di mostrarsi aperta alla moda neoclassica, di cui non aveva ancora scoperto le potenzialità artistiche, probabilmente solo per opportunismo politico, essendo la cultura rivoluzionaria orientata su quel gusto, e per tentare di tacitare quanti la criticavano. Non poteva funzionare: per quella serata spese appena 15 franchi, ma a Parigi si trasformarono subito in 20.000, fino a sfiorare gli 80.000 in Russia. È di quegli anni anche l’accusa, terribile per una pittrice, che François Guillaime Ménageot fosse, non solo suo amante, ma anche l’autore delle sue opere migliori.
L’ultimo rifugio rimasto alla pittrice era la sua casa, ma nel 1789 i popolani la presero d’assalto: ruppero i vetri e gridarono slogan rivoluzionari contro di lei. Non perdonavano a Madame Vigée Le Brun il fatto di essere una parvenu, di essersi dimenticata delle sue origini accomunandosi alla corte e disprezzando il popolo come una nobile di alto lignaggio. Tutto questo era veramente troppo.
La pittrice cadde in un grave stato di depressione, smise di dipingere e tentò per un’ultima volta di rimanere a Parigi, nonostante tutto, nascondendosi in casa di amici, prima dall’architetto Brogniart agli Invalides, poi in Chaussée d’Antin presso i Rivière, che erano parenti di sua cognata.
Il 5 ottobre di quell’anno Luigi XVI e Maria Antonietta venivano portati a Parigi da Versailles, la notte seguente Elisabeth, travestita da popolana, prese con sé sua figlia e la governante e fuggì dalla Francia, trovando rifugio in Italia.

  1. C. Baudelaire, Scritti sull’arte, Einaudi, Torino, 1992, p.256.
  2. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.40.
  3. Le Brun fu responsabile degli acquisti di opere fiamminghe e olandesi anche per le collezioni di Claude-Pierre-Maximilien de Sainte-Foix (1726-1810) e di Armand-Frederick-Ernest Nogaret (1734-1806), entrambi amici del conte di Vaudreuil (1740-1817), di quella di Jean-Balthasar de Montfalcon, conte di Adhémar (1731-1791) e di Calonne (1734-1802). Notizie da C. B. Bailey, The Comte de Vaudreuil, Aristocratic Collecting on the Eve of the Revolution, in "Apollo", 1989, vol.CXXX, n.329, July, pp.19-26 (d'ora in poi BAILEY, 1989). Per informazioni più dettagliate sul conte di Vaudreuil e su Calonne, si veda oltre.
  4. Nella collezione del duca di Orleans vi era anche La regina Tomiri con la testa di Ciro di Rubens (Olio su tela, 447 x 336, Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunste, si veda M. Jaffé, Rubens, Rizzoli, Milano, 1989, p.244, d'ora in poi JAFFÉ, 1989), tra i cui personaggi spicca la figura di un orientale (Fig.9c) di cui la pittrice terrà conto nella composizione del ritratto di Dervish Khan del 1789 (Fig.9a). Cfr. Scheda n.9.
  5. F. Haskell, Rediscoveries in Art. Some Aspects of Taste, Fashion and Collecting in England and France, Cornell University press, Ithaca New York, 1976, p.20 (d'ora in poi HASKELL, 1976).
  6. Ce van der Meer dont les historiens n’ont point parlé mérite une attention particulière. C’est un très grand peintre dans la manière de Metzu. Ses ouvrages sont rares et ils sont plus connus et plus appréciés en Hollande que partout ailleurs: on les paie aussi cher que ceux de Gabriel Metzu. (…) Il parait que van der Meer s’est particulièrement attaché à bien rendre les effets de soleil et il y a réussi au point de faire quelquefois illusion. (J.-B.-P. Le Brun, Galerie des peintres flamands hollandais et allemands, tomo II, p.49, cit. in A. Mirimonde, Les opinions de M. Lebrun sur la peinture hollandaise, "Revue des Arts", 1956, n°6, pp.207-213).
  7. Madame de Verrue (1670-1736) ebbe una vita molto avventurosa e conobbe personaggi illustri che la aiutarono con doni e suggerimenti a creare una eccezionale raccolta di ben 400 opere fiamminghe e olandesi. Possedeva dipinti di Rubens (anche uno studio de Il giardino d'amore, olio su tavola, 93 x 122 cm, Staatliche Kunstsammlungen, Dresda), Rembrandt, van Dyck (Carlo I, olio su tela, 227 x 212 cm, Parigi, Musée du Louvre), Wouwerman, Dou, Brill, Berchem, Teniers e due interessanti opere di Netscher, a cui era particolarmente legata: La lezione di canto e La lezione di violoncello (olio su tela, 48 x 38 cm, Parigi, Musée du Louvre). Per altre informazioni si veda B. Scott, The Comtesse de Verrue, A Lover of Dutch and Flemish Art, in "Apollo", 1973, vol.XCVII, n.131, January, pp.20-24.
  8. Parte della collezione Conti proveniva da quella di Mariette (per particolari sulla collezione Mariette si veda nota n.19 del  Capitolo I).
  9. Per particolari su queste due ultime collezioni cfr. il Capitolo I, p.4 e segg..
  10. Si veda il Documento n.1 nell'appendice documentaria.
  11. HASKELL, 1976, p.18.
  12. J.-B.-P. Le Brun, Précis Historique de la vie de la citoyenne Lebrun, peintre: par le citoyen J.B.P. Lebrun, Paris, 1793, pp. 7-8, citato in VIGÉE LE BRUN, 1835-37, pp.8, 11-12, d'ora poi LE BRUN, 1793. La stessa pittrice ammette che grazie al marito ebbe le migliori lezioni che fosse concepibile che io potessi mai ottenere (VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.40).
  13. LE BRUN, 1793, pp.10-12. Fra gli artisti citati Viotti, Gretry e Vernet furono ritratti dalla pittrice. Altri brani tratti da questo testo si trovano nel  Documento n.2.
  14. L’Incantatore e la Fata / Il cielo, fra le sue benedizioni / gli donò come amica una graziosa Fata / davvero degna del mio Incantatore. / Ella possedeva ogni qualità: / spirito, talento, grazia, semplicità; / una magica divinità la cui mano esperta / dipingeva l’anima e faceva vivere le tele. / Direte che tali miracoli non accadono più, / che la Fata e l’Incantatore hanno attraversato le acque nere. / No, cari amici, loro sono qui, Vaudreuil e [Vigée] Le Brun. / Loro hanno fatto della mia favola una realtà., Le Brun-Pindare (cit. in BAILEY, 1989, mia traduzione dall'inglese).
  15. univa a una certa galanteria una cortesia tanto più lusinghevole in quanto veniva dal cuore. VIGÉE LE BRUN 1835-37, p.57.
  16. Olio su tela, 132 x 100 cm, oggi al Virginia Museum of Fine Arts di Richmond. La pittrice ne eseguì ben cinque repliche.
  17. La sua vasta collezione di oggetti d’arte, mobili e curiosità era conservata nello Château de Gennevilliers e molti dei dipinti erano nella sua casa di Parigi in rue de la Chaise (entrambe le residenze erano state affrescate da Jean-Simone Berthélemy). Tutte le informazioni sul conte di Vaudreuil, se non diversamente indicato, sono tratte da BAILEY, 1989.
  18. Chamfort, Ginguéné, Ecouchard Le Brun (detto "Le Brun-Pindare"), Beaumarchais, e il fratello di Madame Le Brun, Etienne Vigée.
  19. Ispirò a Beaumarchais il personaggio del conte di Almaviva delle Nozze di Figaro e finanziò la prima della commedia, svoltasi nel settembre del 1783 nel suo castello a Gennevilliers.
  20. A. Paillet, Catalogue d’une belle collection de tableaux originaux-… (Trouard), Paris, 22 février 1779, n.114.
  21. J.B.P. Lebrun, Catalogue d’une belle collection de tableaux originaux des trois écoles… et autres objets de curiosité provenans du cabinet de M. (Tronchin), Paris, 12 janvier 1780, n.26.
  22. Olio su tavola, 115 x 85 cm, Parigi, Musée du Louvre.
  23. Ange-Laurent La Live de Jully (1725-1779), pur essendo un accorato sostenitore del nuovo stile neoclassico, aveva nella sua collezione anche una trentina di opere fiamminghe e olandesi, fra cui molti Teniers e paesaggi di Berchem e Wouwerman (B. Scott, La Live de Jully, Pioneer of Neo-Classicism, in "Apollo", 1973, vol.XCVII, n.131, January, pp.72-77).
  24. Olio su tavola, 110 x 180 cm, Parigi, Musée du Louvre.
  25. Un filosofo in meditazione, olio su tela, 29 x 33 cm, Parigi, Musée du Louvre.
  26. In quest’anno la collezione d’arte di Vaudreuil risulta essere la terza collezione di Parigi per dimensioni e importanza.
  27. J.B.P. Lebrun, Catalogue raisonné d’une tres belle collection de tableaux des écoles d’Italie, de Flandres et d’Hollande qui composoient le cabinet de M. le Comte de Vaudreuil, Grand Fauconnier de France…, Paris, 24 novembre 1784. La maggior parte delle opere fu acquistata per le collezioni reali. Charles de la Billarderie, comte d’Angivillier (1730-1809), Directeur Général des Bâtiments du Roi vi acquistò ben 33 opere fiamminghe e olandesi fra cui due Rembrandt : Un filosofo in meditazione (olio su tela, 29 x 33 cm, oggi al Louvre, già nella collezione Choiseul) e un Ritratto di Henrickje Stoffels (non è stato possibile chiarire quale fosse). Il 26 novembre 1787 ci fu un’altra vendita in cui vennero messe all’asta anche opere francesi.
  28. L’olio su tela ovale Baccante seduta (73,3 x 59,5 cm, firmato e datato in alto al centro L V Le Brun f 1785, Sterling and Francine Clark Art Institute, Williamstown, Massachusetts) e il pastello Venere che lega le ali di amore (Fig.7a, misure e ubicazione attuale sconosciute).
  29. Il famoso ritratto che Krantzinger fece di Maria Antonietta vestita da amazzone fu accolto con disgusto dall’imperatrice, che non voleva assolutamente un ritratto della figlia dans l’habillement d’homme (da M. Le Chevalier Alfred d’Arneth - M. A. Geffroy, Correspondance secrète entre Marie-Thérèse et le Comte de Mercy-Argenteau, 4 vols, Paris, Didot, 1874, citato in SHERIFF, 1996, p.304).
  30. Ibidem, p.304-305.
  31. L’originale, olio su tela, 237 x 177 cm, è oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna e la pittrice ne eseguì almeno quattro repliche di cui una inviata a Caterina II di Russia. Prima di ritrarre la regina dal vero, Elisabeth eseguì, sempre nel 1778, due copie da ritratti di altri artisti. Una delle due le fu commissionata da un certo Monsieur Boquet.
  32. Hautecœur (L. Hautecœur, Madame Vigée-Lebrun; étude critique, Paris, Henri Laurens Editeurs, 1917, p.23), a proposito di due études de têtes venduti per 1500 livres, afferma che Le prix qu'atteignent alors ses œuvres témoigne de l'estime où ses contemporains la tiennent. Si veda il Documento n.3 sui prezzi delle opere della Vigée Le Brun.
  33. Olio su tela ovale, 68,5 x 53,3 cm, collezione privata inglese.
  34. Votre grand portrait fait mes délices! Ligne a trouvé de la ressemblance; mais il me suffit qu’il représente votre figure, de laquelle je suis bien contente. (Lettera da Maria-Teresa a Maria-Antonietta datata 1 Aprile 1779, citata in SHERIFF, 1996, p.305).
  35. Entrambe le opere sono a olio su tela e sono al Musée National du Château de Versailles (pur avendo contattato a più riprese il museo non è stato possibile conoscere le misure dei due ritratti).
  36. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, pp.38-39.
  37. Io acconsentii al suo [di Le Brun] desiderio, senza prendere tempo per riflettere, e ben presto vennero da me parecchie signorine, cui mostravo come eseguire occhi, nasi, ovali, e di cui dovevo incessantemente ritoccare il lavoro, cosa che mi distoglieva dal mio lavoro e mi irritava profondamente. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.41.
  38. La grande considerazione che la pittrice aveva per la Carriera le rese sicuramente ancora più graditi i versi del poeta Laharpe, che, durante una seduta accademica, la celebrò con queste parole: Le Brun, de la beauté le peintre et le modéle, / Moderne Rosalba, mais plus brillante qu'elle, / Joint la voix de Favart au sourire de Vénus… (cit. in HAUTECŒUR, 1917, p.23).
  39. La versione a olio fu esposta al Salon de la Correspondance nel 1783 ed è oggi al Musée des Beaux-Arts di Angers.
  40. Fig.4a. Olio su tela, 102,5 x 132,5 cm, Parigi, Musée du Louvre.
  41. Notarono le fattezze fiamminghe della figura dell’Abbondanza alcuni critici, i cui scritti sono raccolti nella Collection Deloynes nel Cabinet des Estampes alla Bibliothéque Nationale di Parigi. A tale proposito si vedano i capitoli VI e VIII e la scheda n.4.
  42. Fig.7a. Esposto l’anno successivo al Salon de la Correspondance e al Salon dell’Académie Royale nel 1783, il pastello è oggi noto solo attraverso un'incisione anonima conservata al Cabinet des Estampes alla Bibliothéque Nationale di Parigi. Si veda la scheda n.7.
  43. Per la storia e gli aneddoti su quest’opera si veda la scheda n.7.
  44. Giunone che chiede la cintura a Venere fu esposto nel 1783 sia al Salon de la Correspondance che al Salon dell’Académie Royale e acquistato per la folle cifra di 15.000 franchi dal Conte d'Artois (HAUTECŒUR, 1917, p.23 e BAILLIO, catalogo, 1982, pp.17, 52). Del secondo non si hanno notizie.
  45. Peu de temps aprés mon retour de Flandre, en 1783, le portrait dont je vous parle et plusieurs autres de mes ouvrages décidèrent Joseph Vernet a me proposer comme membre de l’Académie royale de peinture. VIGÈE LE BRUN, 1835, vol.I, p.238, cit. in SHERIFF, 1996, p.283.
  46. Charles-Joseph, principe di Ligne, nacque a Bruxelles nel 1735 e morì nel 1814 a Vienna. Di nobile famiglia belga, fu consigliere e generale dell'imperatore Giuseppe II d'Austria. Viaggiò moltissimo per tutta Europa con incarichi ufficiali ed ebbe modo di conoscere personalità culturali e politiche anche nei salotti mondani che frequentava assiduamente. Scrisse un'opera in 34 volumi, Mélanges militaires, littéraires et sentimentaires (1795-1811), in cui testimoniò in modo brillante e acuto numerosi e importanti avvenimenti a cui prese parte durante la sua lunga vita.
  47. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.47
  48. Si veda a tale proposito il Capitolo VII.
  49. Tornammo nelle Fiandre per rivedere i capolavori di Rubens: erano allora assai meglio esposti di quanto poi lo siano stati al museo di Parigi; in quelle chiese fiamminghe tutto suscitava un mirabile effetto. Ibidem, p.48
  50. Ibidem, p.48. Dal tipo di quadro e dal commento che ne fa la pittrice, il Wanols in questione potrebbe essere Frans Hals, il cui nome, sentito dalla voce di un olandese, potrebbe essere stato trascritto foneticamente in questo modo dalla Vigée Le Brun (lo stesso Pierre Crozat, in una lettera a Rosalba Carriera scrisse Vatò al posto di Watteau: lettera del 22 dicembre 1716, citata in B. Sani, Rosalba Carriera, Allemandi & C. Editore, Torino, 1988, p.21). Non è stato possibile individuare con sicurezza di quale ritratto di gruppo di Hals si trattasse. Di altro parere è invece Inés de Kertanguy, la quale, senza spiegare la sua affermazione, dice che era un dipinto di van der Helst (I. De Kertanguy, Madame Vigée-Le Brun, Perrin, Paris, 2000, p. 76).
  51. Fig.2b. Un ritratto della cognata dell’artista, Suzanne Fourment, olio su tavola, 79 x 54 cm, ora alla National Gallery di Londra. A quel tempo era ritenuto erroneamente un ritratto di Helene Fourment. Cfr. Scheda n.2.
  52. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p. 48.
  53. Le meilleur de ses portraits est le sien. On peut reprendre esquelque chose dans le ciel et les draperis, mais le chapeau est d'une grande verité, rien n'est plus beau, la lumiere rend la paille transparente et il y a des effets que les plus grands maitres se feroient gloire d'avoir trouvée. In Journal Encyclopedique, in Collection Deloynes (Parigi, Bibliothéque Nationale, Cabinet des Estampes), vol. L, no.1343, pp.246-47.
  54. Jean-Baptiste-Marie Pierre (1714-1789), pittore di storia e di scene di genere, allievo di Natoire, nel 1734 ottenne il prix de l'Académie e l'anno successivo andò a Roma dove rimase cinque anni nella cerchia di J. F. de Troy e Vleughels. Venne eletto nel 1742 all'Académie, e ne divenne direttore nel 1770. Nello stesso anno divenne primo pittore del re. La critica contemporanea non ebbe pareri concordi sulle sue capacità artistiche, ma furono più i detrattori degli ammiratori (the almost universally disliked Pierre, dice la Brookner nella sua monografia su Greuze, Elek, London, 1972, p.37). Non fu solo Elisabeth a denigrare in senso artistico e morale Pierre per motivi che potevano sembrare fin troppo personali, infatti nel 1761 e nel 1767 il pittore fu duramente attaccato da Diderot nei suoi Salons: Non so cosa sia capitato a quest'uomo. È ricco; ha avuto una buona istruzione; ha compiuto il suo pellegrinaggio a Roma; dicono che abbia talento; nulla lo obbliga a terminare le sue opere in tempi ristretti, perché mai allora quasi tutte le sue composizioni sono mediocri? (…) È il più vanesio e il più tedioso dei nostri artisti. (J. Seznec - J. Adhémar, D. Diderot, Salons, 4 vols., Oxford, Clarendon Press, 1957-67, vol.I, pp.113, 208, cit. in GOODDEN, 1997, p.48, mia traduzione dall'inglese).
  55. VIGÉE LE BRUN, 1835, vol.I, p.76-78, cit. in SHERIFF, 1996, pp.283-84.
  56. Tale precetto è ripeturo due volte nei Procès-verbaux del 1783: - Dans les Statuts, donnés par Louis XIV à l’Académie de Peinture, il est deffendu à tout Artiste de faire le commerce de tableaux, soit directement, soit indirectement.; - Toute Artiste, Membre de l’Académie, qui fera commerce de tableaux, dessins, matières et meubles destinées à la mecanique des arts, ou se mettra en société avec des marchands brocanteurs, sera exclu de l’Académie. (Anatole de Montaiglon, Procès-verbaux de l'Académie Royale de Peinture et de Sculpture, 11 vols., Charavay Fréres, Paris, 1889, cit. in SHERIFF, 1996, p.286).
  57. Ibidem, pp.285-286.
  58. Adelaide Labille Guiard (1749-1803) iniziò il suo apprendistato presso il miniaturista Francois-Elie Vincent e la prima opera di cui si ha notizia è un autoritratto esposto all'Académie di Saint-Luc nel 1774, lo stesso anno in cui la Vigée Le Brun divenne membro dell'istituzione parigina. Per imparare la tecnica del pastello divenne allieva di Maurice Quentin de la Tour e, dopo il 1777 di Francois-André Vincent per la pittura a olio. Dopo la chiusura dell'Académie di Saint-Luc nel 1776, la Labille-Guiard espose al Salon de la Correspondance finché non venne ammessa all'Académie Royal des Beaux-Arts il 31 maggio del 1783, lo stesso giorno della Vigée Le Brun. Da quel momento le due pittrici furono frequentemente considerate rivali, anche se nella maggior parte dei casi si trattava di commenti di pittori uomini o di critici che tentavano di sminuire il talento delle due donne spostando l'attenzione sulla loro presunta competizione. È comunque probabile che la Labille-Guiard provasse un certo astio nei confronti della Vigée Le Brun, dato che nelle recensioni dei Salon quest'ultima ebbe molto più spazio di lei e commenti spesso più favorevoli (informazioni dal sito internet di Claudia Solacini sulla Labille Guyard: http://users.telemail.it/claudine).
  59. All'epoca, oltre alla Vigée Le Brun e alla Labille Guiard (che avevano preso il posto delle defunte Anna Therbusch e Suzanne Giroust), dell'Accademia facevano parte anche altre due donne: Anna Vallayer-Coster, entrata all'Accademia nel 1754, come pittrice di nature morte e Marie-Thérèse Reboul, moglie del pittore Vien, pittrice di nature morte e miniature. Luigi XIV non aveva posto alcuna distinzione di sesso per l'accesso all'Accademia al momento della sua fondazione. Nel 1706 ci fu la prima restrizione: solo sette donne potevano essere ammesse nell'istituzione. Dal 1770 il numero era sceso a quattro, ma ciò divenne ufficiale solo nel 1783, subito dopo l'ammissione "irregolare" della Vigée Le Brun, quando d'Angivillers fece la seguente richiesta: Je suplie […] Votre Majesté de vouloir bien borner à quatre le nombre des femmes qui pourront à l'avenir être admises à l'Académie. (MONTAIGLON, 1889, 9:157, cit. in SHERIFF, 1996, p.284). La domanda fu accolta, ma il discorso non fu chiuso. Durante la rivoluzione la Labille-Guiard fu molto attiva in svariati campi e soprattutto nella riforma dell'Académie. Nel settembre del 1790 ella propose che non ci fosse limitazione nel numero delle donne ammissibili e che esse ricevessero una distinzione accademica onoraria di Consigliere. I moderati accolsero la proposta, ma gli accademici più conservatori la avversarono duramente definendo la Labille-Guiard una Jeanne d'Arc. Anche i radicali, che avevano formato la Commune des Arts, condannarono pesantemente la pittrice. Nel 1793 la questione fu chiusa dalla fondazione dell'Institut de France, che sostituiva l'Académie e non accettava donne fra i suoi membri (http://users .telemail.it/claudine e GOODDEN, 1997, pp.46-47).
  60. Charles Claude de Flahaut de la Billarderie, conte di Angevilliers (1730- 1809), fu dapprima intendente del Jardin Royal des Plantes, poi Direttore degli Edifici Reali dal 1770 sino alla caduta della monarchia e responsabile delle case reali, dell’amministrazione delle manifatture e degli acquisti e delle commissioni delle opere d’arte. Controllava l’Académie Royale e stimolò la creazione artistica, accordando la precedenza alle opere capaci di esaltare il coraggio e la virtù. Cercò di aprire al pubblico le collezioni reali con scopi educativi e scelse la grande Galleria del Louvre per esposizioni permanenti, ma la rivoluzione interruppe il suo compito. Nel 1791 dovette emigrare definitivamente. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.175.
  61. Je crois avoir bien saisi vos idées en me déterminant pour le Both, le Terburg, le Rembrandt, le Scalken de deux figures, les chevaux et la marine de Cuyp... j’ai peut-être préféré mon gout au votre en adoptant les deux Cuyp, mais c’est mon terme quant à ce peintre. (citazione e informazioni sulla collezione da B. Scott, The Comte d’Angivillier, The last Directeur-Général des bâtiments, in "Apollo", 1973, vol.XCVII, n.131, January, pp.78-85).
  62. Fig.8b. Olio su tavola, 62,2 x 48,9 cm, Washington, National Gallery.
  63. Fig.8a. Olio su tela, 78 x 66 cm, Knole, Sevenoaks, Kent National Trust.
  64. Notizie da B. Scott, Madame du Barry, A Royal Favourite with Taste, in "Apollo", 1973, vol.XCVII, n.131, January, pp.60-71.
  65. Fig.23a. Olio su tela, 275 x 215 cm, Musée National du Château de Versailles.
  66. Una struttura simile ha la composizione della cosiddetta Madonna Terranova di Raffaello, olio su tavola, Æ 87 cm, Berlino-Dahlem, Gemaldegalerie (Fig. 23b).
  67. M. Miette de Villars, Mémoires de David, peintre er député de la Covention, Paris, 1850, pp.87-88, citato in BAILLIO, 1988, p.95.
  68. Nel 1788 la principessa Lubomirska le commissionò un ritratto del nipote che pagò ben 24,000 livres. Nello stesso anno David ricevette per il ritratto dei coniugi Lavoisier appena 7000 livres (VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p. 16).
  69. Si veda il carteggio riportato in Documento n.4. Nel 1784 la pittrice fece il ritratto del controllore delle finanze e subito ne nacquero racconti assurdi sull’entità del pagamento del dipinto. La pittrice afferma di aver ricevuto 4000 franchi da Calonne. I maligni dissero che egli le aveva mandato delle papillotes (un tipo di caramelle) avvolte in "biglietti di cassa" e contenute in un ricco cofanetto, per un valore totale da far andare in rovina l’intera nazione. Probabilmente la verità sta nel mezzo, poiché lo stesso anno Nicolas de Beaujon pagò per un ritratto delle stesse dimensioni 8000 franchi (VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.54).
  70. Si veda al Documento n.5 la descrizione dei preparativi e della cena.