CAPITOLO
III
1789-1792:
L'Italia
C’est par suite de son amour pour son art qu’elle est partie pour l’Italie
au mois d’octobre 1789; elle allait s’instruire et se perfectionner. (1)
L’Italia fu
per Elisabeth un porto felice. Appena arrivata a Torino l’incisore Carlo
Antonio Porporati, che nel 1787 aveva fatto a Parigi un'incisione del grande ritratto della regina con i figli (2), la ospitò
nella sua casa e le fece visitare la città e le zone limitrofe. Dopo pochi
giorni fu a Parma e a Bologna, nelle cui accademie d’arte fu accolta come
membro onorario (3). A Parma rimase poco tempo e visitò la città accompagnata
dal conte di Flavigny, ministro di Luigi XVI. A Bologna, invece, si trattenne
una settimana, per poter ammirare le opere di quella che considerava la più
feconda di qualsiasi altra scuola italiana (4).
Attraversando gli Appennini
iniziò ad ammirare il paesaggio italiano con grande interesse. Oltre che per le
tante opere d’arte, l’Italia la affascinò soprattutto per i suoi maestosi e
pittoreschi scorci paesistici. Nella lista delle sue opere ella segnò di averne
schizzati a centinaia, sia a pastello che a olio.
Alla fine dell’anno era a
Firenze. Visitò con grande euforia quel luogo di delizia per un artista.
[…] Appena potei sottrarmi al piacere di percorrere la galleria Medicea e
Palazzo Pitti, andai a vedere le altre bellezze che Firenze racchiude. Prima le
porte del Battistero del Ghiberti, le cui scene, disposte in dieci panelli,
sono di una composizione stupenda. […] A San Lorenzo, mi fermai a lungo nella
Cappella Medicea, dove molte tombe sono state eseguite su disegno di
Michelangelo. Sono salita al Chiostro dell’Annunziata, dipinto da Andrea del
Sarto. Le sue diverse composizioni sono semplici di stile, ben addicendosi al
soggetto, e hanno perfino qualcosa di antico. I visi ricchi di espressione e di
verità sono di colore eccellente. […] Non potevo lasciare Firenze senza andare
a Palazzo Altoviti, per vedere il bel ritratto di Raffaello. Per conservarlo è
stato messo sotto vetro e tale precauzione ha fatto annerire le ombre, ma tutti
i chiari della pelle sono rimasti puri e di un ottimo colore. I lineamenti del
viso sono di una bellezza regolare, gli occhi pieni di fascino, e lo sguardo è
proprio quello di un osservatore (5).
Una tale eccitazione artistica
era stata manifestata dalla pittrice solo per la galleria di Maria de’ Medici e
per lo Chapeau de Paille di Rubens ad Anversa. Dopo lunghi anni di
lavoro indefesso a Parigi, Elisabeth ritornava ad essere la giovane e vitale
artista che seguiva il consiglio del vecchio Vernet e, come lei stessa dice di
Raffaello, il suo sguardo di acuta osservatrice si posava avido sui colori e
sulle composizioni di ogni capolavoro le capitasse di vedere.
L’onore più grande fu la
richiesta di un suo autoritratto per la galleria degli autoritratti degli
Uffizi (6). Il committente era il granduca di Toscana, che era fratello di
Maria Antonietta. Ciò le permise di rendere onore anche alla monarchia
francese, poiché nell’autoritratto si raffigura intenta a schizzare un ritratto
della regina. La gioia di vivere e di dipingere, la rinata fiducia in sé stessa
e la convinzione che la Rivoluzione sarebbe terminata in breve tempo sono
evidenti nel volto raggiante della pittrice, che si rappresentò molto più
giovane di quanto non fosse in realtà all’epoca. L’Autoritratto
per gli Uffizi fu eseguito a Roma, dove Elisabeth arrivò a dicembre e dove
il quadro fu esposto prima di essere spedito al granduca. Il pubblico romano lo
accolse con grandi elogi (7) e molti la chiamarono addirittura Mme Van Dyck,
Mme Rubens (8). Nella capitale trovò ad attenderla Ménageot, in quel
periodo direttore dell’Accademia di Francia, che la portò subito a visitare San
Pietro, la cui immensità, per l’idea che me ne avevano data, dapprima non mi
ha colpito.
Attribuisco questo effetto
alla grandezza tanto ben calcolata di tutti i dettagli: alla vista, per
esempio, di quelle due acquasantiere in giallo antico, a forma di conchiglia,
che si vedono quando si entra, circondate da putti di quattro o cinque anni e
di sei piedi di altezza, e quella perfetta proporzione diminuisce, al primo
colpo d’occhio, la grandezza della chiesa. In ogni modo, solo percorrendola, mi
resi conto di quanto fosse vasta. […] Salii anche per la scala che porta alla
Cappella Sistina per ammirarne la volta affrescata da Michelangelo e la pittura
del Giudizio Universale (9). Nonostante tutte le critiche fatte a tale pittura,
mi è parsa un capolavoro di prim’ordine, per l’espressione e l’ardimento degli
scorci. Nella sua composizione ed esecuzione vi è veramente del sublime. Il
disordine che vi regna è secondo me completamente giustificato dal soggetto.
L’indomani, sono andata a
visitare il Museo [Vaticano]. È proprio vero che, in quanto alle forme, lo
stile e l’esecuzione, nulla può essere paragonato ai capolavori antichi. […]
Per ora, non ho fatto che percorrere il Museo, ma l’Apollo, il Gladiatore
morente, il gruppo del Laocoonte, quei superbi altari, quei magnifici
candelabri, tutte quelle cose splendide che mi si sono presentate alla vista,
mi hanno già lasciati ricordi incancellabili (10).
Dopo aver terminato il suo
autoritratto per gli Uffizi, la pittrice ne fece un altro, molto diverso, per
l’Accademia di San Luca di Roma (11). In questo mezzo busto, infatti, Elisabeth
si ritrae in modo più realistico, fortemente ravvicinato e dai suoi tratti
emerge una certa malinconia. Roma era eccezionale, piena di meraviglie, ma le
notizie che arrivavano da Parigi cominciavano ad essere preoccupanti.
Per poter mantenersi a Roma
dipinse moltissimi ritratti: a quanto dice era talmente richiesta che poteva
persino scegliere quali persone ritrarre e quali no. La ritrattistica, però,
non riusciva più ad appagarla completamente. È di questi anni la sua adorata Sibilla, che la pittrice dipinse dopo aver fatto
visita ad Angelica Kauffmann, di cui aveva ammirato molto un dipinto dallo
stesso soggetto. I critici (12) però vedono nell’opera un’influenza diversa, da
Domenichino e da Reni, ad esempio. E infatti, qualche anno dopo, di nuovo a
Bologna, gli studenti della locale accademia d’arte, vedendo il quadro appeso
nello studio di Elisabeth, le chiesero se fosse un opera di un loro
concittadino.
Oltre a questo dipinto di
storia, la pittrice iniziò la lunghissima serie di paesaggi dal vero a pastello
e a olio nella campagna romana. A Tivoli andammo per prima cosa a vedere le
piccole cascate, delle quali fui tanto entusiasta che quei signori non potevano
allontanarmene. Le disegnai subito coi pastelli, desiderando colorare
l’arcobaleno che ornava quelle belle cascatelle. La montagna che si erge a
sinistra, coperta di ulivi, completa l’incanto del colpo d’occhio (13). La
bellezza e la varietà delle vedute la incantavano, la sua mano era sempre
pronta a schizzare uno scorcio particolare, ovunque fosse: trovandomi sulla
terrazza di Trinità dei Monti una sera, fui colpita dalla bellezza del
tramonto; dato che non avevo altra carta con me se non la nota di M. Laborde [per
l’acquisto del ritratto di Robert e di una maternité di Elisabeth (14)] …
presi il foglio… e disegnai il tramonto su di esso (15). Altri affascinanti
paesaggi l’aspettavano a Napoli: arrivata il 9 aprile nella città partenopea,
tra il 1790 e il 1791 la pittrice fece la spola fra Roma e Napoli tre volte,
per accontentare le richieste della regina di Napoli, sorella di Maria
Antonietta.
Napoli fu per la pittrice un
vero paradiso. Era stata subito accolta a corte e ciò significava per lei quasi
un ritorno a casa, essendo di nuovo circondata dalla famiglia reale. Non era
come essere tornati a Versailles dalla tanto amata Maria Antonietta, ma
l’essere di nuovo pittrice di corte le fu di grande conforto.
Qui dipinse molti ritratti dei
componenti della famiglia Borbone e anche quello del famoso e acclamato
compositore Giovanni Paisiello (16)
(1741-1816) che fu considerato un capolavoro persino da David: Mènageot
le fece l’onore di inviarlo al Salon del settembre del 1791 insieme a un
suo dipinto di storia.
Anche i dintorni di Napoli, e
soprattutto le vedute del Vesuvio da vari punti, ispirarono alla pittrice
centinaia di paesaggi a pastello e a olio (17), a cui ricorse anche negli
sfondi di alcuni ritratti fatti nella città partenopea (18).
Di nuovo a Roma nell’aprile del
1792, seppe della fallita fuga di Varennes dei reali francesi e ne rimase
alquanto afflitta. Inoltre in quell’anno il suo nome venne apposto
ufficialmente alla lista degli emigrée, anche se il marito tentò di
evitarlo con una richiesta formale all’Assemblea Legislativa in agosto, e i
possedimenti dei due coniugi vennero confiscati dal governo rivoluzionario.
Come spesso fece nei momenti più drammatici della sua vita, Elisabeth decise di
partire: tornò a Firenze, dove copiò l’Autoritratto di Raffaello, visitò
Spoleto, Foligno, Siena e tornò anche a Parma, dove arrivò alla fine di giugno.
Successivamente fu a Mantova da dove raggiunse Venezia alla vigilia del giorno
dell’Ascensione: rimase sorpresa e incantata dalla città che le si mostrava
ancora più bella del normale per la gran festa per lo Sposalizio di Venezia
col Mare. La sua visita nella città lagunare fu guidata da una coppia
d’eccezione: Dominique Vivant Denon (19) e la Contessa Isabella Teotochi Marini
Albrizzi. Il soggiorno veneziano fu per la pittrice di totale riposo: l’unica
opera che eseguì fu il Ritratto della contesa Teotochi
Albrizzi (20) che Denon desiderava ardentemente, essendo in quel periodo
il suo amante. I due la portarono a visitare palazzi e chiese, dove poté
ammirare opere del Tintoretto, del Veronese, di Tiziano e di Bassano. Denon la
portò anche a casa di un vecchio senatore (21) che possedeva una Danae
del Correggio e numerosi disegni di Rosalba Carriera. Prima di lasciare Venezia
Elisabeth fece anche una pittoresca visita notturna, al chiaro di luna, al cimitero
degli inglesi (22), dimostrando una precoce indole romantica.
Visitò anche l’entroterra
veneto: prima sostò a Vicenza, visitandone i palazzi, il teatro e, nei
dintorni, le ville palladiane. Attraversò il Brenta e si fermò nella villa di
un ignoto marchese, che le mostrò una raccolta di incisioni, fra le quali
Elisabeth ricorda quella che Denon aveva fatto del suo Autoritratto per
gli Uffizi. Successivamente, a Padova, oltre al Palazzo della Ragione e alle
molte chiese, trovò di eccezionale bellezza, non solo gli affreschi di Tiziano,
ma soprattutto quelli di Giotto, dei quali decantò la semplicità e le
espressioni, giudicando il suo stile vicino a quello dell’antichità classica.
Ultima tappa veneta fu Verona, dove passò una settimana visitando chiese e
partecipando a vivaci serate presso la contessa Marioni e la marchesa Strozzi.
Dopo l’ampio tour che le
fece risalire la penisola, Elisabeth decise che era ormai tempo per lei di
tornare in Francia e prese la via di Torino con questa intenzione. L’arrivo
nella città sabauda fu particolarmente favorevole per la pittrice: la moglie di
Luigi XVIII la accolse con gioia e la accompagnò in numerose escursioni. Sostò
nuovamente presso Porporati, della cui figlia fece un ritratto in segno di
gratitudine per l’ospitalità offerta a lei e sua figlia Julie (23) nella
fattoria che l’incisore possedeva a poche leghe (24) dalla città. Durante
il breve ritiro in campagna, la Vigée Le Brun ricevette la triste notizia della
definitiva caduta della monarchia francese e, rientrata in città, constatò con
i suoi occhi la drammaticità dei fatti. Le strade, le piazze piene di
uomini, di donne di tutte le età, che erano scappati dalle città francesi e
giungevano a Torino a cercarvi asilo (25) la convinsero a rimandare
nuovamente il rientro a Parigi. A metà agosto, dopo essere stata raggiunta dal
cognato Auguste Riviere (26), partì in sua compagnia alla volta di Milano, dove
ammirò la campagna lombarda, con i cui scorci riempì un ricco album di disegni,
e fece una replica dell’Autoritratto che aveva eseguito per l’Accademia
di San Luca di Roma (27). A Milano poté rimanere piuttosto a lungo grazie a un
permesso di soggiorno del conte di Wilsheck, ambasciatore austriaco, che la
esortò a recarsi a Vienna. La pittrice non attese molto prima di mettere in
pratica il suo consiglio e in autunno partì per l’Austria.