CAPITOLO VI

Le fonti neerlandesi di Elisabeth Vigeé Le Brun secondo la critica

 

…l’imitazione è la vertigine degli spiriti duttili e brillanti, e spesso anche una prova di superiorità. (1)

 

Elisabeth Vigée le Brun era già all’apice della sua carriera quando per la prima volta fu messo in evidenza dai critici settecenteschi il suo rapporto con la pittura neerlandese del secolo precedente. Dopo la sua ammissione all’Académie, ella espose al Salon del 1783 il quadro che aveva offerto come morceau de réception: La Pace che riporta l’Abbondanza (2). L’opera ricevette commenti molto favorevoli: persino Louis Petit de Bachaumont, in altre circostanze decisamente avverso ad Elisabeth, scrisse nel suo Memoires secrets pour servir à I'histoire des lettres et des arts depuis M. DCC. LXII. jusqu'à nos jours (3): J’ignore dans quelle classe l’académie a placé Madame le Brun, ou de l’histoire, ou du genre, ou de portraits, mais elle n’est point indigne d’aucun, même de la premiere. Je regarde son tableau de réception comme très-susceptible de l’y faire admettre. C’est la Paix ramenant l’Abondance, allégorie aussi naturelle qu’ingénieuse: on ne peut mieux choisir pour le circonstances. La premiere figure, noble, décente, modeste comme la paix que la France vient de conclure, se caractérise par l’olivier, son arbuste favori. (4) Fondamentale nell’ottica di questo discorso è il breve inciso che segue, in cui Bachaumont affermò che l’Abbondanza era una superba donna à la Rubens (5). Il dipinto in questione fu eseguito dalla pittrice tre anni prima della sua esposizione, quando nella galleria di Le Brun era presente uno studio di Rubens per i dipinti della Galerie du Louxemburg intitolato La Pace che abbraccia l’Abbondanza (6). Le due allegorie non solo rappresentano lo stesso tema, ma sembra quasi che la Vigée Le Brun abbia voluto riunire nella sua figura dell’Abbondanza - bionda, procace e in vesti scomposte e fluttuanti - le caratteristiche delle due personificazioni dello studio di Rubens. Nessun critico parlò in modo specifico del rapporto con questo frammento del ciclo mediceo, che Elisabeth conosceva perfettamente sin dall’adolescenza, ma molti furono d’accordo con Bachaumont. Di proporzioni courtes et lourdes alla fiamminga si parla nel dialogo Changez-moi cette tête, ou Lustucru au Sallon: Dialogue entre le Duc de Marlborough, un Marquis François et Lustucru (7), mentre in Les Peintres volants, ou Dialogue entre un François, et un Anglois, sur les Tableaux exposés au Sallon du Louvre en 1783 (8), si considera la tela dipinta con tout la force et la brillantesse des flamands (9). Il giudizio più favorevole lo troviamo nelle Observations sur les Ouvrages de Peinture et Sculpture, exposés au Salon du Louvre, le 25 Aôut 1783 ovvero L’Année Littéraire (10): Les talents et la réputation de [Vigée Le Brun] ont devancé sa réception à l’Académie. Je ne crois pas qu’aucune femme ait encore porté à un degré aussi éminent ce ton de couleur séduisant & vrai, qui ne seroit pas désavoué de l’immortel Rubens. La Paix ramenant l’Abondance est un chef-d’œuvre (11).
Allo stesso Salon la Vigée Le Brun espose un altro dipinto di storia: Venere che lega le ali di Amore (12). In questa scena mitologica, il cui tema è squisitamente rococò, la figura femminile ha proporzioni decisamente anticlassiche e l’autore de Messieurs, ami de tout le monde (13) le considera con disprezzo flamand (14).
Questi sono solo i primi saggi dell'interesse della critica per tale propensione della nostra artista. Infatti durante tutta la sua carriera la Vigée Le Brun fu frequentemente paragonata ai grandi maestri fiamminghi a varie riprese. Dopo Rubens, fu la volta di van Dyck: nel 1787 L’Année Littéraire (15) annota genericamente che la pittrice veniva elogiata dai suoi contemporanei per l’alto livello da lei raggiunto dans un art qui a immortalisé (…) Van Dyck (16), senza aggiungere però particolari riferimenti stilistici. James Northcote, nello stesso anno, riferisce invece un dialogo avuto con Sir Joshua Reynolds: after seeing Vigee Le Brun's portraits of Marie Antoinette and the Duchesse de Polignac, Reynolds had the following exchange with his pupil James Northcote: "Pray what do you think of them, Sir Joshua?" "That they are very fine," he answered. "How fine?" I said. "As fine as those of any painter," was his answer. "As fine as those of any painter, do you say? do you mean living or dead?" -When he answered me rather briskly, "Either living or dead." I then, in great surprise, exclaimed, "Good G ... what, as fine as Vandyke?" He answered tartly "Yes and finer." (17). A dire il vero Catherine Monfort (18) dubita che Reynolds avesse una così alta considerazione dell’opera della Vigée Le Brun e pensa che la secca risposta del pittore al suo allievo fosse più un modo per troncare la conversazione in modo rapido e diplomatico, piuttosto che una vera attestazione di stima. Il giudizio di Reynolds, in ogni caso, sembra del tutto fuori luogo, facendo caso alle due opere da cui era nata la discussione. Nessuno dei ritratti di Maria Antonietta (19) e della Duchessa di Polignac (20) infatti presenta, a mio parere, tratti comuni a opere di van Dyck, mentre opere successive, come il ritratto del Conte Maurice De Fries (21), il doppio ritratto delle Granduchesse Yelena e Aleksandra Pavlovna (22) e, soprattutto, Madame Caroline Murat con la figlia Letizia (23), mostrano chiari rapporti con dipinti (24) del pittore fiammingo.
Secondo i suoi contemporanei che ammirarono a Roma nel 1790 il suo Autoritratto (25) dipinto per la galleria degli Uffizi, anche quest’opera dovrebbe essere enumerata fra le precedenti, visto che le valse addirittura gli appellativi di Mme Van Dick, Mme Rubens (26). Il costume con cui la pittrice si ritrae è infatti una libera interpretazione di reminiscenze fiamminghe e la gamma dei colori ridotta al bianco e al nero con sprazzi di rosso acceso è la stessa che spesso troviamo negli autoritratti dei due pittori con i nomi dei quali era stata ribattezzata (27).
L’anno dopo un altro ritratto della Vigée Le Brun fu lodato a gran voce, questa volta dalla critica del Salon di Parigi, e ancora una volta l'artista fu paragonata a van Dyck. Il dipinto in questione era il Ritratto di Giovanni Paisiello (28) e La Bequille de Voltaire au Salon (29) non ebbe dubbi nell’esclamare O Van Dyck, tu renais! (30).
Successivamente, per quasi un secolo, solo nelle memorie della pittrice si troveranno associate la sua pittura e quella dei grandi maestri fiamminghi e olandesi del Seicento. Nel 1835 ella iniziò a pubblicare i suoi Souvenirs (31) dove raccontò della sua grande passione per Rubens, oltre che per van Dyck, Rembrandt e, anche se in modo un po’ criptato, Hals (32), autodenunciandosi per il "plagio" da cui nacque l’Autoritratto col cappello di paglia del 1781 (33).
Per ritrovare il nome della Vigée Le Brun associato alla pittura fiamminga e olandese del Seicento si dovrà attendere a lungo, infatti i molti biografi (34), a parte l’incontro con l’arte di Rubens, non fanno alcun riferimento al suo rapporto tecnico e stilistico con i maestri neerlandesi. La stessa cosa accadrà per i pochi testi di storia dell’arte (35) che la citano e sottolineano il suo generico interesse per Rubens e, più raramente, per van Dyck.
Grazie a uno studio sulle preferenze in campo artistico del marito della pittrice (36), ci fu a metà degli anni Cinquanta del nostro secolo una vaga allusione al fatto che la Vigée Le Brun avesse potuto creare dei pastiches nello stile di Vermeer (37), dopo aver visto nella galleria di Le Brun l’Astronomo (38) e la Giovane donna con una fantesca che le porge una lettera (39) del pittore di Delft. Solo negli anni Ottanta, però, il suo riscopritore Joseph Baillio riconobbe in più di un’opera alcuni particolari riferimenti a opere di Rubens (40), non sempre rinvenendo, a mio parere, il confronto più adatto (41), ma dando inizio a una ricerca molto interessante, che in questa sede si intende sviluppare. Baillio è il primo studioso a sostenere che la Vigée Le Brun si ispirava ad opere di altri artisti, aderendo alla time-hallowed humanist tradition of Imitation (42). Anche se Elisabeth non può essere considerata una vera e propria umanista e lei stessa afferma nelle sue memorie di essere poco istruita (43), come abbiamo già notato (44), è probabile che dagli ambienti che frequentava abbia attinto informazioni sulla teoria dell'imitazione. Quanto alla sua apparente modestia (45), credo che fosse spesa nell'esorcizzare la sua impreparazione accademica, sottolineare il fatto di essere stata un’autodidatta ed aver così raggiunto da sola un’eccellenza di cui era giustamente compiaciuta. Di fronte alle grandi opere che ebbe modo di osservare e studiare provò sempre un drammatico senso di inferiorità, ma quando si trattava di utilizzarle per i suoi scopi di fronte a una tela bianca superava la prova in modo ammirevole, con vigore e grazia al tempo stesso.
Pochi anni fa Mary Sheriff ha pubblicato uno studio sociologico-psicanalitico (46) sulla Vigée Le Brun, comprendente lunghi excursus, a mio parere fuorvianti, sugli eventi salienti della vita della pittrice e inserendoli in un contesto interdisciplinare fin troppo ampio. Fra le altre cose è preso in esame anche il rapporto con Rubens, che la studiosa ritiene quasi morboso e, riferendosi all’Autoritratto con cappello di paglia del 1781, così descritto: In her self-portrait Vigée-Lebrun identifies herself all at the same time as intimate of the queen, the painter Rubens, his beloved wife, a painted figure made by Rubens, a history painter, a hermaphrodite, an inspired artist, an intellectual making a reasoned point, a speaking subject, a beautiful woman, an objectified commodity, an immodest woman/artist pleasuring in self-display.(47) Per quanto riguarda il desiderio della pittrice di immedesimarsi in Rubens, sono d’accordo con la studiosa americana, ma il rapporto che la Vigée Le Brun aveva con i suoi modelli era personalissimo: non era una semplice allieva che copiava i grandi, era una pittrice che si riteneva capace di eguagliarli con il suo stile e la sua tecnica, traendo profitto dalle loro conoscenze e dalle loro soluzioni reinterpretate in modo originale.

  1. C. Baudelaire, Scritti sull’arte, Einaudi, Torino, 1992, p. 257.
  2. Fig.4a. Olio su tela, 102,5 x 132,5 cm, firmato e datato in basso al centro Mme Le Brun. f 1780, Parigi, Musée du Louvre.
  3. In Collection Deloynes (Parigi, Bibliothéque Nationale, Cabinet des Estampes), vol. XXIV.
  4. Ibidem, p. 3.
  5. Ibidem, p. 5.
  6. Olio su tavola, 62,9 x 47 cm, oggi a New Haven, Connecticut, Yale Center for British Art.
  7. Opera di anonimo, in Collection Deloynes (Parigi, Bibliothéque Nationale, Cabinet des Estampes), vol.XIII, n.289.
  8. In Collection Deloynes (Parigi, Bibliothéque Nationale, Cabinet des Estampes), vol.XIII, n.297.
  9. Ibidem, p. 12.
  10. Chez Mérigot, edition Louis Stanislas Fréron, Paris, 1783,.
  11. Ibidem, p.261.
  12. Fig.7a. Pastello su carta del 1780, commissionato dal conte de Vaudreuil, già a Parigi, Hôtel Drouot, ubicazione attuale sconosciuta, noto attraverso un’incisione di ignoto, oggi alla Biblioteca Nazionale di Parigi.
  13. In Collection Deloynes (Parigi, Bibliothéque Nationale, Cabinet des Estampes), vol.XIII, n.295.
  14. Ibidem, p. 22. A proposito dell'aria fiamminga di questo pastello si vedano il Capitolo VIII e la scheda n.7.
  15. In Collection Deloynes (Parigi, Bibliothéque National, Cabinet des Estampes), vol.XV, t. 7.
  16. Ibidem, p. 547.
  17. J. Northcote, The Life of Sir Joshua Reynolds, London, 1819, p.100.
  18. C. R. Monfort, Vigée Le Brun: une artiste exemplaire (1755-1842), in "Nottingham French Studies", 1996, vol.35, no.2, Autumn, pp.41-51.
  19. In realtà è molto difficile capire a quali opere si riferisca il racconto di Northcote, che non specifica dove Reynolds abbia visto i due ritratti. Per quanto riguarda quello della regina si potrebbe trattare di una delle tante versioni della famosa Maria Antonietta en chemise (l'originale del 1783, olio su tela, 93,4 x 79 cm è nella collezione della Principessa de Hesse-Darmstadt, nello Château de Wolfsgarten) esposto nel 1783 al Salon de l'Académie Royale. Potrebbe però anche essere il ritratto di Maria Antonietta à la rose (anch'esso replicato varie volte, l'originale, sempre del 1783, olio su tela, 113 x 87 cm, è al Musée National du Château de Versailles) esposto anch'esso nel 1783 al Salon de l’Académie Royale.
  20. Anche per il ritratto della Duchessa de Polignac c'è la stessa incertezza fra due opere: il ritratto della Duchessa de Polignac con cappello di paglia di cui esistono due versioni (una del 1782 a olio su tela, 96 x 71 cm, al Waddesdon Manor, National Trust, Buckinghamshire, un'altra del 1787 in collezione privata, già al Musée de Beaux-Arts di Alençon) e quello della Duchessa di Polignac che canta al pianoforte con un foglio di musica in mano (per questa opera - olio su tavola, 98 x 71 cm, Waddesdon Manor, National Trust, Buckinghamshire- la datazione è incerta, fra il 1783 e il 1787).
  21. Fig.10a. Pastello su carta incollata su tela, 54 x 44 cm, ovale, Parigi, Musée du Louvre, Cabinet des Dessins. Disegno del 1793 eseguito a Vienna.
  22. Fig.12a. Olio su tela -tondo dipinto-, Ø 99 cm, San Pietroburgo, Ermitage. Dipinto a San Pietroburgo nel 1796.
  23. Fig.17a. Olio su tela,  Musée du Château de Versailles.
  24. Rispettivamente con il ritratto di Everhard Jabach (olio su tela, 113 x 91,5 cm), con il ritratto di Elisabeth e Philadelphia Wharton (olio su tela, 162 x 130 cm), oggi entrambi all’Ermitage di San Pietroburgo, e con la Nobildonna genovese con la figlia (olio su tela, 218 x 146 cm), ora al Cleveland Museum of Art. Per quanto riguarda i rapporti fra le opere della Vigée Le Brun e quelle dei suoi modelli fiamminghi e olandesi si vedano le schede nn.10, 12 e 17 e il capitolo VIII.
  25. Olio su tela, 100 x 81 cm, Firenze, Galleria degli autoritratti degli Uffizi.
  26. Lettera di Madame Vigée Le Brun conservata alla biblioteca Jacques Doucet di Parigi, carton 52 dossier II, indirizzata al pittore Hubert Robert e all'architetto Brongniart, datata 16 marzo 1790, riportata nel Documento n.6.
  27. Per quanto riguarda Rubens: Autoritratto, olio su tavola, 86 x 62,5 cm, Windsor Castle, Londra; olio su tela, 86 x 62,5 cm, Canberra, Australian National Gallery; olio su tela, 109,5 x 85 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum (il disegno preparatorio di quest’ultimo è al Louvre e il disegno preparatorio per un’incisione dello stesso era nella collezione Crozat) per quanto riguarda invece van Dyck in opere come l'Autoritratto dell'Ermitage di San Pietroburgo, olio su tela, 116 x 93 cm (già nella collezione Crozat) o la sua versione analoga del Metropolitan Museum di New York, olio su tela, 119,7 x 88 cm, vi è la stessa severità cromatica, mitigata, come nel caso della Vigée Le Brun, da una posa vezzosa. Inoltre, a mio parere, il costume della pittrice ha molto in comune con la divisa del capitano Cocq della Ronda di notte di Rembrandt (olio su tela, 363 x 438 cm, firmato Rembrandt f 1642, Amsterdam, Rijksmuseum): in entrambi i casi l’abito è nero, con maniche aderenti da cui escono polsini bianchi, tutti e due hanno una larga gorgiera bianca e una fascia rossa col bordo dorato adorna il petto del capitano Cocq e la vita di Elisabeth. È nota, da numerose fonti, l'abitudine della pittrice di indossare semplici blousons di mussola bianca mentre dipingeva, quindi il costume con cui qui ella si ritrae è certo una particolarissima eccezione.
  28. Olio su tela, 130 x 100 cm, iscrizione in basso a sinistra, sulla copertina dello spartito: Rondo de Nina/A mio Ben quando verrai/musica/Del Sigr Giovanni Paisiello; in basso a sinistra sullo spartito: Te deum/Messa in musica/in occasione del felice viaggio/delle Loro Maestá delle Sicilie/1791, Musée National du Château de Versailles.
  29. In Collection Deloynes (Parigi, Bibliothéque Nationale, Cabinet des Estampes), vol.XVII, n.438.
  30. Ibidem, p. 38.
  31. E. Vigée Le Brun, Souvenirs de Madame Louise Elisabeth Vigée Le Brun, 1835, 3 vols., Paris, Librairie de H. Fournier.
  32. Durante il viaggio del 1782 nei Paesi Bassi, ad Amsterdam, vide nel palazzo del comune un quadro di Wanols [sic] con i borgomastri vestiti di nero, bello e vivo. È possibile che si riferisse a Frans Hals (si veda la nota n.50 del capitolo II).
  33. …ad Anversa trovai (…) il famoso Cappello di paglia (…) di Rubens; (…) Questo quadro mi mandò in visibilio e m'ispirò a tal punto che feci il mio autoritratto a Bruxelles ricercando lo stesso effetto. Mi ritrassi con un cappello di paglia, con una piuma e una ghirlanda di fiori, e con una tavolozza in mano. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p. 48.
  34. C. Pillett, Madame Vigée-Lebrun. Librairie de L'Art, Paris, 1890; P. de Nolhac, Madame Vigée-Le Brun: Peintre de Reine Marie-Antoinette 1755-1842, catalogue raisonné de H. Pannier, Goupil and Company, Paris, 1908 (seconda edizione rivisitata: Paris, 1912); W. H. Helm, Vigée-Lebrun 1755-1842: Her Life, Works and Friendships, with a catalogue raisonné of the artist's pictures, London, 1915 and Maynard Small and Co., Boston, Massachusetts, 1916; A. Blum, Madame Vigée-Lebrun peintre des grandes dames du XVIIIe siécle, H. Piazza, Paris, 1919; L. Hautecœur, Madame Vigée-Lebrun; étude critique, Paris, n.d.; H. MacFall, Vigée Le Brun, Masterpieces in Colour, Illustrated with eight painting reproductions, Frederick A. Stokes, New York and T.C. & E.C. Jack, Ltd., London, 1922.
  35. Blanc, Histoire des peintres de toutes les écoles, École Française, II, Paris, 1862; F. Fosca, XVIII Siècle, de Watteau a Tiepolo, Skira, Géneve, 1952; W. G. Kalnein – M. Levey, Art and Architecture of the Eighteenth Century in France, Pelican History of Art, Penguin Books, London, 1972; P. Conisbee, Painting in Eighteenth-Century France, Ithaca, N. Y., 1981 e le più recenti edizioni di M. Levey, Painting and Sculpture in France, 1700-1789, Yale University Press, New Haven e London, 1993 e A. Chastel, L’art Français, Ancien Régime, 1620-1775, Flammaron, Paris, 1995.
  36. P. A. De Mirimonde, Les opinions de M. Lebrun sur la peinture hollandaise, in "Revue des Arts", 1956, n.6, pp.207-213.
  37. In particolare, lo studioso credette di poter ascrivere alla pittrice la Donna con cappello blu, olio su tela, 23,5 x 21,3 cm, oggi a Castagnola, Lugano, nella collezione della contessa Margit Batthyany. Ho potuto visionare personalmente l'opera e constatare che, purtroppo, un'attribuzione alla Vigée Le Brun non è affatto realistica.
  38. Olio su tela, 50 x 45 cm, Parigi, Musée du Louvre.
  39. Olio su tela, 92 x 78,7 cm, Frick Collection, New York. Entrambe le opere di Vermeer citate furono incise da Le Brun per la sua Galerie des peintres flamands hollandais et allemands (si veda la nota n.6 del capitolo II).
  40. Già in occasione della retrospettiva del 1982 al Kimbell Art Museum di Fort Worth, Texas, Baillio (BAILLIO, catalogo, 1982) trova il modo di associare la pittrice a Rubens, ma è nel 1988 che egli effettua un preciso studio comparativo fra la Vigée le Brun e le sue fonti iconografiche (J. Baillio, Vigée Le Brun and the Classical Practice of Imitation, Papers in Art History from the Pennsylvania State University, IV, Edited by George Mauner et al., 1988).
  41. In particolare non ha visto influenze fiamminghe ne La Pace che riporta l’Abbondanza (Fig.4a) e non ha riconosciuto l’evidente derivazione della Baccante con pelle di tigre del 1785 (Fig.5a) da una figura allegorica del ciclo mediceo della galleria del Luxembourg (si vedano le Schede nn.4 e 5).
  42. BAILLIO, 1988, p. 94. Cfr. il Capitolo I, p.7 e segg..
  43. Sono andata a trovare Angelica Kauffmann, che desideravo conoscere. (…) È di piacevole conversare: è prodigiosamente colta, ma (…) questo, data la mia poca cultura, non mi ha elettrizzata. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p. 75.
  44. Capitolo I, p.7 e segg..
  45. Raramente la pittrice si mostra realmente modesta e nelle sue memorie riporta spesso aneddoti in cui importanti personaggi le rendono grandi onori e tessono le sue lodi anche in modo eccessivo, ma lei, più che turbata, sembra essere soddisfatta e degna di tali elogi.
  46. M. D. SHERIFF, The Exceptional Woman: Elisabeth Vigée-Lebrun and the Cultural Politics of Art, University of Chicago Press, Chicago e London, 1996.
  47. SHERIFF, 1996, p. 214.