CAPITOLO VII

Dipinti fiamminghi e olandesi nelle collezioni parigine del Settecento

Come già accennato precedentemente (1), Elisabeth non ebbe un'educazione artistica tradizionale e furono soprattutto le continue e numerose visite a gallerie pubbliche e private a darle la possibilità di conoscere opere importanti da cui attinse soluzioni tecniche e compositive che la resero una delle ritrattiste più ricercate d'Europa per più di mezzo secolo.
In un certo senso la sua predilezione per modelli fiamminghi e olandesi rispecchiava in parte il nuovo interesse per la pittura nordica, sbocciato in Francia verso la metà del diciottesimo secolo. Nelle collezioni parigine del Settecento le opere venivano suddivise in tre sezioni (2) a seconda della scuola: erano sempre infatti presenti dipinti francesi, italiani e dei Paesi Bassi (3). Di solito queste tre categorie erano rappresentate abbastanza equamente, ma spesso erano le opere italiane ad essere più numerose, essendo ritenute i capolavori per eccellenza di tutta la storia dell'arte. Verso la metà del secolo si fece sempre più pressante il desiderio di possedere opere originali e di attribuzione certa, i cataloghi divennero più accurati e le attribuzioni più guardinghe. Nel 1778, proprio grazie a Le Brun, la scuola nordica ottenne una più chiara distinzione in scuola fiamminga e scuola olandese (4), che ormai stavano insidiando il primato di quella italiana. Negli anni venti e trenta del secolo la contessa de Verrue e il suo folto entourage (5) iniziarono a preferire le opere fiamminghe e olandesi a quelle italiane (6). Mentre personaggi come il marchese d'Argens denigrava questa nuova moda (7) e Pierre Crozat restava fedele ai maestri veneziani e bolognesi (8), pare che la contessa si lasciasse convincere (9) dai mercanti specializzati in dipinti nordici, che i dipinti italiani erano molto più semplici da contraffare e copiare, mentre le petits tableaux Flamands erano eseguite in tempi lunghi e con una tecnica molto raffinata, cosicché le copie erano più facilmente riconoscibili. …les curieux à l'intéresser de préférence à ceux qui viennent des Pays-Bas, se trouve le désir d'attributions sûres, conclude Pomian (10), e aggiunge: l'attribution d'un tableau peut devenir plus importante que l'appréciation esthétique de celui-ci et que les productions des peintres italianes peuvent devenir suspectes.
I migliori attribuzionisti dell'epoca divennero i mercanti, che con i loro frequenti viaggi nei luoghi di origine dei dipinti acquisirono la competenza necessaria per riconoscere con sicurezza i diversi autori. Molti avevano alle spalle una lunga tradizione familiare, che ne aumentava ancor più la reputazione: fra questi emerse il consorte della nostra pittrice, Jean Baptiste Pierre Le Brun. I suoi contatti con i Paesi Bassi furono molto assidui e il suo personale interesse per l'arte fiamminga e olandese incise profondamente sulle svariate collezioni che egli aiutò a creare (11). Redasse numerosissimi cataloghi di gallerie di amateurs, organizzò molte delle vendite pubbliche che negli anni sessanta e settanta del Settecento aumentarono a ritmo esponenziale (12), fu un eccellente storico e critico dell'arte fiamminga e olandese e durante il periodo rivoluzionario salvò dalla distruzione le opere neerlandesi conservate nelle collezioni reali, ritenute indegne per le loro tematiche umili e quotidiane.
La Vigée Le Brun nei suoi Souvenirs parla poco delle collezioni d'arte a lei contemporanee. Oltre alle gallerie pubbliche (13), nomina inizialmente alcune importanti collezioni visitate da adolescente insieme alla madre -come quella di Rendon de Boisset (14)- o grazie all'intervento di Joseph Vernet, che la introdusse presso il marchese di Lévis, il marchese Harens de Presle e il duca de Choiseul-Praslin.
Come abbiamo visto (15), quest'ultima collezione, a mio parere, dati i frequenti errori di trascrizione di nomi propri e titoli nobiliari presenti nei Souvenirs, dovrebbe essere quella di Etienne-François de Choiseul-Stainville (16) (1719-1785), poi duca di Choiseul, raccolta veramente esemplare del nuovo gusto che si stava affermando fra gli amateurs francesi: 107 quadri su 138 -quasi l’ottanta per cento- erano opere olandesi o fiamminghe (17). In mezzo a tante opere di autori a quel tempo meno affermati (18) spiccavano otto Rembrandt, fra cui il Filosofo in meditazione (19), il Filosofo in contemplazione (20) e l'Autoritratto con berretto di velluto e catena d’oro (21) acquistati alla vendita del conte de Vence e oggi al Louvre.
Elisabeth, però, non annota nelle sue memorie quali quadri e quali autori erano presenti nelle gallerie che visitava. A volte sottolinea la preferenza di un collezionista per una o l'altra scuola, o cita di sfuggita un autore, senza descrivere nemmeno sommariamente il dipinto a cui si riferisce. Questo atteggiamento è molto strano, anche perché altrove ella ricorda con orgoglio che spesso, durante queste visite, era capace di destare la meraviglia dei presenti riconoscendo quasi tutti gli autori dei quadri esposti. Inoltre, la descrizione che fa dello Chapeau de Paille di Rubens (22) ricordando il viaggio nei Paesi Bassi è eccellente, ma rappresenta anche un unicum nell'intera autobiografia della pittrice.
A proposito del suo soggiorno nei Paesi Bassi, va detto che Elisabeth vi era andata col marito per assistere alla vendita della collezione del principe de Ligne (23). La pittrice conobbe solo allora il generale belga e rimase molto affascinata da questo interessante personaggio, ma della sua collezione ci dice ben poco: ci invitò a visitare la sua galleria dove ammirai molti capolavori, soprattutto alcuni ritratti di van Dyck e delle teste di Rubens. (24) Nei Portraits à la plume (25) non fa addirittura cenno della raccolta d'arte del principe, che ricorda solamente per la sua affabilità e per la brillante prosa delle sue memorie.
Fra le righe dei Souvenirs si possono scoprire le tracce di altre gallerie che Elisabeth non poteva non aver visto: suo marito era responsabile degli acquisti di opere per amateurs d'eccezione, lei conosceva tutti i maggiori collezionisti dell'epoca, aveva ritratto numerosi componenti delle loro famiglie, tutto il gran mondo voleva partecipare alle sue serate e le porte dei migliori salotti erano sempre aperte per Madame Vigée Le Brun. Anche fra i già citati Portraits à la plume vengono nominati vari collezionisti o le loro consorti. Inspiegabilmente, però, non viene menzionata quasi mai la loro passione per il collezionismo e le opere che possedevano sono semplicemente nominate -quando lo sono- come bei quadri appesi in grandi saloni.
Il caso forse più eclatante è quello del Conte de Vaudreuil (26). Si diceva che egli fosse l'amante della Vigée Le Brun e lei certo parlava molto bene di lui. Bello, elegante, raffinato, intelligente e amabile, di certo, ma anche importante collezionista e cliente assiduo della galleria Le Brun: in questo senso Elisabeth annota solo che era un grande appassionato d'arte, e la sua conoscenza della pittura era stupefacente. Dato che la sua fortuna gli permetteva di indulgere in passatempi costosi, egli possedeva una galleria piena di opere di grandi maestri di varie scuole… (27). Ma perché non aggiungere che queste opere erano in gran parte fiamminghe e olandesi e non c'erano solo banali paesaggi o scene di genere, ma anche pregevolissimi ritratti di Rubens (28), Van Dyck (29) e Rembrandt (30)?
Elisabeth conosceva perfettamente anche la contessa d'Angivillier (31), moglie di Charles-Claude Labillarderie, Conte d'Angiviller (32), che era stato direttore generale dei Bâtiments reali e delle Accademie e che possedeva una collezione simile a quella di Vaudreuil. Possedeva ben 33 opere fiamminghe e olandesi fra cui due Rembrandt : Un filosofo in meditazione (33) e un Ritratto di Henrickje Stoffels (34). Grazie a lui tra il 1775 e il 1785 le collezioni reali si arricchirono di un centinaio di dipinti fiamminghi e olandesi. Le Fiandre brulicavano di suoi agenti: nel 1777 mandò Pierre a Bruxelles per la vendita degli averi dei Gesuiti ordinata dall’imperatore Giuseppe II d’Austria  per acquistare il Martirio di S. Livinio di Rubens (35). Sempre a Bruxelles e nello stesso anno Bosschaert comprò per la sua collezione personale l’Adorazione dei Magi, sempre di Rubens (36). D'Angivillier possedeva inoltre il San Matteo ispirato da un angelo di Rembrandt (37) e come tutti gli altri collezionisti francesi dell'epoca apprezzava anche opere cosiddette minori, e alla vendita Marigny del 1782 acquistò personalmente opere di Berchem, Potter, Van Huysum e Wouwerman (38). Ancora una volta però la Vigée Le Brun si sofferma sui particolari galanti e mondani della vita dei coniugi d'Angivillier, del conte ricorda solo di sfuggita che a volte invitava a pranzo alcuni membri dell'Académie de Peinture e invece di notare le nature morte floreali di van Huysum, racconta che la contessa amava circondarsi di fiori freschi e profumatissimi.
Un altro personaggio molto in vista e molto chiacchierato aveva a che fare con Le Brun e sua moglie: Charles Alexandre de Calonne (39). Il marito di Elisabeth fu responsabile di molti degli acquisti di opere neerlandesi per la collezione di Calonne e nel 1788 curò il catalogo della sua vendita, in cui primeggiava un Ritratto di Saskia van Ulenborch di Rembrandt (40). È impossibile che la pittrice non abbia potuto vedere la collezione di Calonne, ma il suo silenzio a tale proposito è più che giustificabile per le calunnie che la gente aveva inventato sui suoi rapporti col controllore.
Nello stesso anno in cui Elisabeth fece il ritratto di Calonne, le furono commissionati anche due ritratti (41) di M. Nicolas de Beaujon (42), banchiere di corte di Luigi XV, ricchissimo mecenate di architetti e appassionato di arti decorative. Sposando Elisabeth Bontemps divenne cugino di Lalive de Jully, importante collezionista, che prediligeva le opere fiamminghe, fra cui il ritratto di Helene Fourment di Rubens (43). Nei "ritratti a penna" la pittrice parla soprattutto delle sue abitudini e delle sue tante malattie: si era dovuta recare presso la sua casa –l’Elysée-Bourbon- per eseguire i ritratti perché egli era invalido e quasi cieco (44). Ebbe modo così di visitare la sua splendida abitazione, di cui avevo spesso sentito parlare per la sua magnificenza: non ho mai visto tanto lusso, tutto era di una raffinatezza squisita. La prima sala era piena di dipinti, sebbene nessuno fosse particolarmente pregevole, è così facile ingannare un amateur anche se ritiene di avere una buona cultura artistica (45) . Questo suo commento sulla collezione di Beaujon è molto strano, in quanto la Galerie Beaujon (46) si era formata grazie ad oculati acquisti nelle maggiori aste degli anni Settanta del Settecento: Jullienne (1767), du Barry (1774), Randon de Boisset (47) (1776), Blondel de Gagny (1777), Conti (1777) e altre (48). Era in contatto con Le Brun, al quale vendette un Metsu (49) proveniente dalla collezione Randon de Boisset. La maggior parte dei dipinti della sua galleria erano opere fiamminghe e olandesi, che teneva in gran conto, visto che era disposto a sborsare cifre non indifferenti per ottenerle. È particolarmente interessante notare che per dipinti dei grands petits maîtres (50) arrivava a spendere cifre molto più alte rispetto a quelle per opere di Rubens o van Dyck (51). Nella Galerie Beaujon vi erano anche due Rembrandt (52) e una copia Seicentesca del particolarissimo dipinto di Holbein Gli ambasciatori (53). Vi erano anche opere della scuola francese, ma va sottolineato che si trattava di pittori che avevano le loro radici artistiche nella tradizione fiamminga e olandese: Coypel, Raoux, Chardin.
Un'altra collezione degna di nota è quella del parlamentare Lamoignon (54), che oltre a due paesaggi di Brill e ad alcune scene di genere di Teniers, comprendeva un van Dyck descritto come un Autoritratto con la moglie (55) e due Rubens: La conversione di San Paolo (56) e Maria de Medici come Cerere (57). La Vigée le Brun aveva ritratto tre donne della famiglia Lamoignon: i primi due ritratti (58) non sono rintracciabili e non si conoscono i nomi di battesimo delle modelle, mentre il terzo è il ritratto di Marie-Catherine de Lamoignon, moglie di Henri-Cardin-Jean-Baptiste d'Aguesseau (59).
Numerosissime erano le collezioni in cui abbondavano piccoli quadri con scene intimiste o idilli pastorali. Queste opere erano quelle predilette dalle signore e, solitamente, erano appese nei loro appartamenti privati e nei salotti di ricevimento. Una delle più ricche collezioni di questo genere, al tempo della Vigée Le Brun, era quella di Madame du Barry, che aveva riunito i suoi tesori nel castello di Louveciennes (60). La pittrice intrattenne una lunga e sincera amicizia con la favorita di Luigi XV, la ritrasse tre volte (61) e le fece spesso visita nel suo rifugio campestre. Mai nelle sue memorie Elisabeth nomina le meraviglie della residenza della du Barry, che era un tripudio di dipinti, mobili e oggetti provenienti per lo più dalle regalie del sovrano e da successivi omaggi di galanti pretendenti. L'affascinante Jeanne non aveva una particolare cultura artistica e amava circondarsi semplicemente di ciò che le piaceva. E i suoi dipinti favoriti erano le scene di genere di Teniers e van Ostade, i paesaggi di Ruisdael, Van Goyen, Berchem e Van de Neer e i delicati interni di Dou, van Ostade e Ter Borch (62). Anche il cognato di Madame du Barry, il conte Jean du Barry, era un collezionista di opere fiamminghe e olandesi e la sua ricca collezione fu venduta il 21 novembre del 1774, con catalogo redatto da Rémy e Le Brun. Fra le opere vi erano une copie de St George de Rubens très Belle, une femme ratissant une carrotte très beau tableau atribué à Mierres, le Portrait en mignature de Gerard Douv d’environ douze pouses, la femme a harrand atribué à Gerard Douv, un beau tableau de Tinierres des joueurs aux cartes, un portait de femme beau pastiche de Santerre imitant Rembrandt, deux tabagies par vean Ostade, la Madelaine par Otho Venius, la Charité romaine Beau tableau de Rubens (63).
Il 14 novembre del 1776 Le Brun e Ménageot (64) furono fra i maggiori acquirenti della vendita Verrier (65) nella quale la maggior parte delle opere era fiamminga e olandese. Vi furono molti paesaggi che raggiunsero prezzi elevati (66), ma l’opera che raggiunse la cifra più elevata -1810 livres- fu la Dévideuse di Gerrit Dou (67).
Come vedremo (68) una delle collezioni francesi da cui Elisabeth trasse maggior spunto, sia direttamente che indirettamente, fu la collezione Crozat-Thiers. La raccolta era vastissima e anche se la scuola italiana era quella maggiormente rappresentata, anche le opere fiamminghe e olandesi erano presenti in gran numero e, soprattutto, erano di qualità molto elevata (69). La Vigèe Le Brun poteva aver visitato la collezione dopo la morte di Louis Antoine Crozat, Barone de Thiers (70), mentre si stava preparando la famosa vendita che vide come maggiore acquirente la zarina di Russia. L'esperto che, dietro consiglio di Diderot, doveva occuparsi della valutazione delle opere per Caterina II era Augustin Ménageot (71), padre di quel François Guillame Ménageot che fu più volte accusato di ritoccare le opere di Elisabeth. I due pittori erano buoni amici, François era affittuario di Le Brun e, quando la pittrice si recò a Roma, le dimostrò amicizia e stima professionale (72). Il barone esponeva la sua collezione nella casa parigina di place Vendôme e consentiva spesso l’accesso alle sale a vari artisti e curiosi (73). È facile quindi pensare che anche la pittrice avesse avuto il permesso di visitare la raccolta che comprendeva molte opere dei suoi maggiori ispiratori: Rubens, Rembrandt e van Dyck. Anche se successivamente, durante il soggiorno russo, la Vigée Le Brun ebbe occasione di rivedere alcuni di questi quadri nella loro nuova ubicazione, i loro influssi in suoi dipinti precedenti al 1795 sono innegabili (74). Nel  capitolo seguente, si parlerà, fra le altre cose, anche del rapporto fra il ritratto che Elisabeth fece a Caroline Lalive de la Briche (75) del 1787 e la Ragazza appoggiata a un davanzale di Rembrandt presente nella collezione Crozat e della copia che Sir Joshua Reynolds fece del dipinto dell'olandese nel 1781 (76).
Reynolds si era recato a Parigi verso la metà di agosto del 1771 sperando di potersi aggiudicare alcune opere della collezione in occasione dell'imminente vendita. I commenti dell'illustre pittore inglese sulla collezione francese (77) sono particolarmente interessanti, poiché dimostrano che Reynolds e la Vigée Le Brun avevano gusti molto simili. Infatti i giudizi del Reynolds teorico d'arte sono molto diversi da quelli del Reynolds pittore e collezionista. Nei suoi discorsi sull'arte i veneziani non sono tenuti in grande considerazione, mentre i fiamminghi sono considerati loro scadenti derivati (78). Ma le sue idee di pittore sono ben diverse e, come Elisabeth, egli ritiene che un dipinto abbia valore se può insegnargli qualcosa: they are worth nothing… but to a Painter (79).
È strano che la Vigée Le Brun non ci abbia lasciato informazioni più dettagliate a proposito delle opere d'arte che ebbe l'occasione di vedere durante la sua formazione giovanile e nei numerosi viaggi che la portarono in tutta Europa nel corso della sua vita. Dai suoi quadri traspaiono chiaramente capolavori che le erano accessibili e che certamente aveva visto e ben ponderato. Si potrebbe pensare che, dopo la confessione del plagio dello Chapeau de Paille (80) di cui nessuno si era in realtà reso conto, avesse preferito tacere sulle sue fonti iconografiche, per poter godere appieno del successo ottenuto, senza doverlo dividere con i grandi maestri del passato. Sarebbe più affascinante e di certo più onorevole per la reputazione della nostra pittrice credere che il bagaglio di immagini che Elisabeth arricchì durante tutto l'arco della sua vita fosse diventato una parte di lei e che nello stendere la sua autobiografia, le fossero tornati alla mente solo quei pochi capolavori che l'avevano colpita in maniera particolarissima.

  1. Si vedano i capitoli I e II.
  2. Ciò accadeva principalmente nei cataloghi, nelle gallerie l'esposizione non era cronologica o geografica, ma rispondeva criteri estetici di misura, simmetria e armonia cromatica (si vedano a tale proposito gli articoli di K. Pomian, Marchands, connaisseurs, curieux à Paris au XVIIIe siècle, in "Revue de l'Art", 1979, n. 43, pp.23-36 e di O. Bonfait, Les Collections des parlementaires parisiens du XVIIIe siècle, in "Revue de l'Art", 1986, n. 73, pp.28-42).
  3. Questa distinzione la si trova nei titoli dei cataloghi delle collezioni redatti dai proprietari o da connoisseurs di loro fiducia (prima si trattò di artisti, poi di mercanti d'arte, quindi di critici e storici dell'arte). Più raramente erano presenti altre sezioni, come quella spagnola (le cui opere erano più spesso inserite fra i napoletani della scuola italiana) o quella tedesca (ma Dürer, ad esempio, trovava spesso posto fra i fiamminghi). Buona parte delle informazioni generali su collezioni e collezionisti del '700 in Francia proviene da POMIAN, 1979.
  4. J. B. P. Le Brun, Catalogue de tableaux des écoles hollandoise, flamande et françoise […] du cabinet de M. Gros, 1778.
  5. Il principe de Carignan, Glucq de Saint-Port, il marchese de Lassay, J. B. de Montullé, Angran de Fonspertuis, de Jullienne, Lériget de La Faye. I primi quattro personaggi ereditarono delle opere dalla contessa (POMIAN, 1979, p. 31). L'influenza della contessa fu fondamentale per l'orientamento fiammingo e olandese della collezione di François Tronchin, cliente di Le Brun e consigliere di Caterina II per la vendita Crozat (si veda R. Loche, La collection de François Tronchin, in L'Age d'or flamand et hollandais, Collections de Catherine II, Musée de l'Ermitage, Saint Petersburg, Dijon, Musée des Beaux-Arts, Septembre 1993, pp.43-48).
  6. Particolarmente interessante in questa ottica è il manoscritto del 1749 di Blondel d'Azincourt riscoperto qualche anno fa da Bailey (si veda il suo articolo Conventions of the Eighteenth-Century Cabinet de tableaux: Blondel d'Azincourt's La première idée de la curiosité, in "Art Bulletin", 1987, vol.LXIX, n. 3, September, pp.431-447) e il cui titolo completo è La premiére idée de la curiosité, où l'on trouve l'arrangement, la composition d'un cabinet, les noms des meilleurs peintres flamands et leur genre de travail. Non per nulla suo padre era Blondel de Gagny (1695-1776), la cui collezione era rinomata per i suoi eccellenti esemplari fiamminghi e olandesi.
  7. Oggi, con eterna vergogna per tutte le arti, vediamo i cosiddetti amanti della pittura formare grandi collezioni di piccole tavole olandesi, che comprano a prezzi esorbitanti, sebene esse abbiamo il solo merito di essere una servile imitazione delle più basse forme della natura…(citato in BROOKNER, 1972, pp.38-39, mia traduzione dall'inglese).
  8. Ma aveva comunque nella sua collezione molti capolavori fiamminghi e olandesi. Si vedano i capitoli II e VIII a proposito dei dipinti presenti in questa collezione che furono di modello a Elisabeth per alcune opere.
  9. Almeno a quanto dice Remy nel suo Catalogue raisonné de tableaux […] qui composent differénts cabinets, Paris, 1757, p. 3, citato in POMIAN, 1979, p. 36.
  10. POMIAN, 1979, p. 33.
  11. A proposito di Le Brun come mercante e critico d'arte si veda il capitolo II, pp. 15 e segg.
  12. Fra il 1750 e il 1760 ce n'erano state 5 all'anno, in media. Nel decennio successivo divennero 15, 20 nel 1772 e 40 l'anno successivo (POMIAN, 1979, p. 32).
  13. Per le visite al Palais du Luxembourg e al Palais Royal si veda il capitolo I, p.6.
  14. Si veda la nota 19 del Capitolo I.
  15. Si veda il Capitolo I, pp.4-5.
  16. Per la bibliografia su questa collezione si veda la nota 15 del Capitolo I. Pierre François Basan impiegò una trentina di incisori per stampare una raccolta illustrata da 128 incisioni dei pezzi più importanti posseduti dal duca: Recueil d’estampes gravées d’après les tableaux de monseigneur le Duc de Choiseul, in-quarto, circa 1770-71. Successivamente venne curato un catalogo più dettagliato in occasione della vendita del 6 aprile del 1772, alla quale presero parte anche Le Brun e Augustin Ménageot, che acquistarono molte opere per Vaudreuil (il Chimico di Metsu) il primo, per Caterina II (che acquistò molte delle opere che raggiunsero le maggiori quotazioni), Randon de Boisset (ben 61 pezzi) e Mme du Barry il secondo. Per i prezzi raggiunti dalle opere maggiori si veda L'Age d'or…, Dijon, 1993, pp.59-60.
  17. Per una lista dettagliata delle opere neerlandesi presenti nella collezione si veda L'Age d'or…, Dijon, 1993, pp.60-61.
  18. Vi erano in grande quantità paesaggi (circa settanta) e scene di genere (una cinquantina) di autori quali Wouwermans, Berchem, Ruisdael, van der Werff, Metsu, Ter Borch, Dou e Teniers, mentre i ritratti e i dipinti di storia erano in numero nettamente inferiore.
  19. Olio su tela, 29 x 33 cm, Parigi, Louvre. Acquistato con il successivo per la collezione del conte di Vaudreuil e pagati 14.000 livres.
  20. La Scott (1973, p.45) afferma che anche questo quadro si trova al Louvre, ma nei cataloghi del museo non se ne trova traccia. Probabilmente la studiosa si riferisce a un Filosofo in contemplazione, olio su tela, 28 x 33,5 cm (inv. n°1741), attualmente attribuito a Salomon Koninck, che nel 1784 era stato venduto insieme a quello di Rembrandt e ritenuto un suo pendant.
  21. Olio su tavola, 70,4 x 54 cm, Parigi, Louvre.
  22. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.48, e Capitolo II, p.26.
  23. Per la biografia di questo personaggio si veda il capitolo II, nota 46. La collezione del principe de Ligne resta purtroppo ancora avvolta nel mistero: nemmeno i due attuali biografi dell'illustre personaggio, il professor Mansel e il professor Vercruysse, non sono stati in grado di fornire notizie utili per rintracciare un eventuale catalogo della vendita.
  24. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.47
  25. Si tratta di descrizioni di personaggi particolarmente illustri o curiosi (parla anche di un ciarlatano e di due scienziati francesi che fecero un'ascesa in mongolfiera) che la pittrice conobbe durante la sua lunga vita e si trovano alla fine dei Souvenirs.
  26. Si veda il  Capitolo II, pp.19 e segg. per informazioni dettagliate sul personaggio e i sui rapporti con i coniugi Le Brun.
  27. STRACHEY, 1989, p. 347, mia traduzione dall'inglese.
  28. Ritratto di Hélene Fourment con i figli, olio su tavola, 113 x 82 cm, Parigi, Musée du Louvre, fino al 1779 nella collezione La Live de Jully.
  29. Ritratto del Presidente Richardot, olio su tavola, 110 x 180 cm, Parigi, Musée du Louvre.
  30. Cfr. nota 33.
  31. Nata de Laborde nel 1735, morta il 14 marzo 1808.
  32. Nato nel 1730 e morto nel 1809, il conte d'Angivillier desiderava diventare un grande patrono di tutte le arti, favorì molti pittori francesi contemporanei, con le cui opere formò una collezione parallela a quella di dipinti nordici. È lui a iniziare la trasformazione della Grande Galerie del Louvre in museo vero e proprio. Tutte le notizie sul conte e sulla sua collezione sono tratte da B. Scott, The Comte d’Angivillier, The last Directeur-Général des bâtiments, in "Apollo", 1973, vol.XCVII, n.131, January, pp.78-85.
  33. Quest'opera, già nella collezione Choiseul proveniva da quella di Vaudreuil ed oggi è al Louvre (olio su tela, 29 x 33 cm).
  34. Non è stato possibile chiarire quale sia.
  35. L'olio su tela, 413 x 347 cm, attualmente a Bruxelles, Musées Royaux de Beaux-Arts, si trovava in origine sull’altar maggiore della chiesa dei gesuiti di Gand. Jaffé (1989, scheda n. 880) sostiene invece che il dipinto fu acquistato per Luigi XVI da Paillet.
  36. Olio su tela, 280 x 218 cm, Parigi, Louvre.
  37. Olio su tela, 96 x 81 cm, Parigi, Louvre.
  38. Fra le altre opere presenti nella sua galleria sono da ricordare 6 panorami di van der Werf, due nature morte floreali di van Huysum ; un Fiume olandese di Van Goyen ; un Paesaggio assolato di Ruisdael (olio su tela, 83 x 98 cm, Parigi, Musée du Louvre); una Partenza per una passeggiata di Cuyp (olio su tela, 119 x 152 cm, Parigi, Musée du Louvre). Il conte amava molto quest'opera, acquistata alla vendita Van Slingeland: Je crois avoir bien saisi vos idées en me déterminant pour le Both, le Terburg, le Rembrandt, le Scalken de deux figures, les chevaux et la marine de Cuyp... j’ai peut-étre préféré mon gout au votre en adoptant les deux Cuyp, mais c’est mon terme quant à ce peintre. Lettera del conte a Pierre, riportata in B. SCOTT-h, 1973, p. 81).
  39. Calonne (1734-1802) era stato intendente delle Fiandre e dell'Artois nel 1778 e nel 1783 era stato nominato controllore delle finanze. Nel capitolo II, p. 35, si è già parlato delle false dicerie su un suo affaire con la pittrice. Si veda anche il carteggio apocrifo nel Documento n.4. Un interessante articolo sui gusti artistici del controllore è quello di Barbara Scott: Charles-Alexandre de Calonne, Economist and Collector, in "Apollo", 1973, vol.XCVII, n.131, January, pp.86-91.
  40. Fig.8b. Olio su tela, 60,5 x 49 cm, Washington, National Gallery.
  41. Per il 1784 è noto un pastello ovale, forse preparatorio per l’opera a olio dell’anno successivo oggi al Musée Carnavalet di Parigi. Non è nota l’ubicazione attuale della replica che l’artista fece per l’ospedale fondato in quel periodo dall’illustre personaggio. M. de Beaujon era basso e molto grasso, e non aveva un volto particolarmente espressivo; M. de Calonne, che ritrassi nello stesso periodo offriva un contrasto perfetto, e quando i due ritratti furono esposti insieme nella mia casa, l’Abbé Arnault li vide e disse, 'Qui puoi ben vedere la differenza tra spirito e materia'. STRACHEY, 1989, p.312, mia traduzione dall’inglese.
  42. Nato a Bordeaux nel 1718 e morto a Parigi nel 1786, fu anche tesoriere generale delle finanze di Rouen e amministratore dell’Ordine di Saint-Louis.
  43. Olio su tela, 195 x 132 cm, Parigi, Musée du Louvre.
  44. Un inglese, desideroso di vedere tutti i tesori di Parigi, chiese a M. de Beaujon il permesso di visitare la sua bella casa. Arrivato nella sala da pranzo, trovò la tavola preparata (...), e rivolto al domestico che lo accompagnava disse: 'Il tuo padrone deve mangiare molto bene, no?' 'Ahimé Monsieur,' rispose la guida, 'il mio padrone non si siede mai atavola con i suoi ospiti, tutto quello che può mangiare è un piatto di verdure.' L’inglese continuò nel primo salone: 'Almeno può gioire guardandosi intorno,' commentò, indicando i quadri. 'Ahimé, Monsieur, il mio padrone è quasi cieco.' 'Ah!' replicò l’inglese proseguendo verso il secondo salone. 'Troverà un po’ di consolazione, spero, nell’ascoltare della buona musica.' 'Ahimé, Monsieur, il mio padrone non ha mai udito la musica che si suona qui perché si ritira molto presto, sperando di star meglio dormendo molto.' L’inglese guardò fuori dalla finestra i magnifici giardini: 'Ma il tuo padrone farà bene delle passeggiate nei suoi terreni?' 'Ahimé! Monsieur, non può camminare.' In quel momento arrivarono gli invitati per la cena, e fra loro vi erano molte belle donne. L’inglese insistette: 'In verità, vedo molte belle donne che potrebbero fargli passare momenti molto piacevoli.' Il domestico rispose solo con due 'Ahimé!' invece di uno; non diede altra spiegazione. STRACHEY, 1989, p.312, mia traduzione dall’inglese.
  45. Ibidem, p.312, mia traduzione dall’inglese.
  46. A.Masson, La Galerie Beaujon, in "Gazette de Beaux-Arts", 79e année, 1937, Juillet-Août, pp.47-59.
  47. A questa vendita fece acquisti per ben 24.220 livres (MASSON, 1937, p.49).
  48. Cfr. MASSON, 1937, p.49.
  49. Donna in corsetto rosso al clavicembalo, Parigi, Musée du Louvre.
  50. MASSON, 1937, p.52.
  51. Per i cinque Rubens che possedeva (tre ritratti, una scena di caccia e la Riconciliazione di Esaù e Giacobbe, olio su tavola, 47 x 39 cm, Monaco, Altepinacotheke) non aveva mai speso più di 3000 livres, ma per un van Ostade o un Mieris era arrivato a pagare fino a 8000 livres. Cfr. MASSON, 1937, p.52.
  52. Nel catalogo della collezione sono riportati un Busto d’uomo con cappello, che è impossibile identificare, e un Assuero, Ester e Mardocheo, oggi perduto (cfr. MASSON, 1937, p.51).
  53. 149 x 264 cm, ubicazione attuale sconosciuta. L’originale, 208 x 209 cm, si trova a Londra, alla National Gallery.
  54. Si veda BONFAIT, 1986.
  55. Come per il ritratto allegorico di Rubens di cui alla nota successiva, il titolo dell’opera non aiuta a capire di che quadro si trattasse, visto che van Dyck non è mai stato sposato.
  56. Jaffé (1989) riporta varie versioni di quest'opera. Quella attualmente all'Ashmolean Museum di Oxford (olio su tavola, 33 x 45 cm) potrebbe essere quella in questione, in quanto dopo l'asta Dormer (Anversa, 27 maggio 1777), se ne hanno notizie solo nell'Ottocento. Nella scheda relativa a questa tavola (n.418) lo studioso parla tuttavia di un bozzetto simile e di dimensioni analoghe, venduto all'asta della collezione Jullienne del 30 marzo 1767, che potrebbe essere più plausibile, ma di cui non si hanno altre notizie.
  57. Stranamente questo dipinto non è nominato nel catalogo di Jaffé (1989), nel quale, invece, sono segnalate ben tre versioni di Maria de' Medici come Bellona (ai nn. 702, 703 e 704), fra cui un olio su tavola, 22,5 x 15 cm, che si trovava nella collezione Crozat (ma qui era indicata come Minerva) e che dal 1772 si trova a San Pietroburgo, all'Ermitage.
  58. Eseguiti nel 1776 e nel 1778.
  59. Eseguito nel 1789, si tratta di un olio su tavola, 106 x 80 cm, oggi alla National Gallery of Art, di Washington.
  60. Una collezione analoga a quella di Madame du Barry era anche quella della famiglia di un'altra modella della pittrice, la Contessa de Beaumont (ritratto del 1788, olio su tela, Parigi, collezione privata). In questa raccolta vi erano opere delle tre scuole e fra i neerlandesi erano presenti Miervelt, Neefs, Schalken e Teniers.
  61. Il primo è del 1781, a olio su tela, 86,5 x 66 cm, e raffigura la contessa fino al ginocchio con un semplice abito di mussola e un largo cappello di paglia. Oggi si trova nella William A. Clark Collection della Corcoran Gallery of Art di Washington. Il secondo è del 1787, sempre a olio su tela, con la contessa appoggiata a una balaustra con una corona di fiori in mano. Questo è in una collezione privata, come il terzo, sempre a olio su tela, 158 x 128 cm, che la pittrice iniziò poco prima di fuggire dalla Francia e terminò al suo ritorno nel 1805 (Il terzo ritratto che feci di Mme Du Barry [fu iniziato] verso la metà di settembre nel 1789... Avevo dipinto la testa e tracciato il profilo del corpo e del braccio... La paura mi aveva assalito e il mio solo pensiero era quello di lasciare la Francia, così abbandonai il ritratto finito solo a metà. Non so per quale fortunata coincidenza M. il Conte Louis de Narbonne si trovò in suo possesso durante la mia assenza; al mio ritorno in Francia me lo restituì e proprio ora l’ho terminato, VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p. 60).
  62. Le notizie su Madame du Barry come collezionista d'arte sono derivate da B. Scott, Madame du Barry, A Royal Favourite with Taste, in "Apollo", 1973, vol.XCVII, n.131, January, pp.60-71.
  63. R. MESURET, Le troisième cabinet du Comte du Barri, in "Gazette de Beaux-Arts", 137e année, 1995, CXXVI, Septembre, pp.80-81. Cfr ibidem la trascrizione completa del catalogo dei dipinti alle pp.84-96. È interessante notare che, oltre a opere di autori molto noti e usuali in queste collezioni, vi erano numerosi dipinti ascritti con precisione a loro seguaci minori.
  64. Vedi oltre per notizie su questo mercante d’arte.
  65. E. Dacier, Catalogues de ventes et livrets de salons illustrés et annotés par Gabriel de Saint-Aubin, 12, Catalogue de la vente Verrier (1776), in "Gazette de Beaux-Arts", 95e année, 1953, XLI, Mai-Juin, pp.297-334.
  66. Cfr. DACIER, 1953, p.303.
  67. Successivamente l’opera venne acquistata da Caterina II ed è attualmente all’Ermitage. Per comprendere quanto elevata fosse la cifra raggiunta si pensi che tre anni dopo, alla vendita Calviére (E. Dacier, Catalogues de ventes et livrets de salons illustrés et annotés par Gabriel de Saint-Aubin, 13, Catalogue de la vente du Marquis de Calvière (1779), in "Gazette de Beaux-Arts", 96e année, 1954, XLIV, Juillet-Août, pp.5-46) un interno di van Ostade fu l’opera più pagata e raggiunse appena le 800 livres.
  68. Capitolo VIII.
  69. Le opere italiane erano circa 150 e per lo più veneziane, una sessantina erano dipinti dei Paesi Bassi, mentre le opere francesi erano appena una decina, come quelle tedesche.
  70. Per la bibliografia sulla collezione Crozat si veda la nota 13 del Capitolo I e inoltre l'articolo di F. W. Hilles, Sir Joshua at the Hôtel de Thiers, in "Gazette de Beaux Arts", 111e année, 1969, Octobre, pp.201-209.
  71. La critica (N. Willk-Brocard, Augustin Ménageot (ca. 1700-1784), marchand de tableaux. Quelquels jalons, in "Gazette de Beaux-Arts", 140e année, 1998, CXXXI, Avril, pp.161-181) ha recentemente riscoperto questo médiocre peintre, mais marchand de tableaux estimé (p.161). Come già abbiamo detto in precedenza (Capitolo II, nota 56), i pittori che desideravano essere accolti all’Académie Royale non potevano commerciare in opere d’arte. Questo particolare ha reso impossibile l’identificazione del Ménageot così stimato da Diderot (un homme dont c’est le métier depuis quarante ans d’appretiér des tableuax, artiste et brocanteur, et qui jouit de la réputation d’honnête homme, N. WILLK-BROCARD, 1998, p.161) con François Guillaime, entrato all’Académie nel 1777. Alcuni critici potrebbero essere stati tratti in inganno dalla registrazione di un pagamento dell’anno precedente: dopo la vendita Brunoy (2 dicembre) Augustin aveva rivenduto le opere che vi aveva acquistato ai Bâtiments, ma le 2000 livres dovute furono pagate a François Guillaime il 18 dicembre di quell’anno (N. WILLK-BROCARD, 1998, p.173).
  72. Ménageot figlio, quando Elisabeth soggiornò a Roma era direttore dell’Accademia di Francia. Le fece da Cicerone, le offrì un alloggio e, dopo aver già lodato il suo Autoritratto per gli Uffizi, le fece l’onore di spedire a Parigi il ritratto di Paisiello insieme al suo Meleagro per il Salon del 1791. Si veda nel Documento n.6 la corrispondenza relativa al dipinto per Firenze e la nota 61 del capitolo IX.
  73. Fra i tanti visitatori bisogna ricordare Gabriel de Saint-Aubain, che ne illustrò un catalogo con cento disegni a penna.
  74. Si veda il capitolo VIII.
  75. Fig.16a. Olio su tela ovale, 62,2 x 53,3 cm, firmato e datato in basso a destra: M. Elith LeBrun 1787, collezione privata francese.
  76. Fig.13b. Si veda HILLES, 1969.
  77. Per notizie più dettagliate sui taccuini che ne derivarono si veda HILLES, 1969, nota 1.
  78. the Flemish school, of which Rubens is the head, was formed upon that of the Venetian; like them, he took his figures too much from the people before him. But it must be allowed in favour of the Venetians, that he was more gross than they, and carried all their mistaken methods to a far greater success… R. R. Wark, Sir J. Reynolds, Discourses on Art, Hungtinton Library, California, 1959, p.68, citato in HILLES, 1969, p.205.
  79. HILLES, 1969, p.207.
  80. Si vedano i capitoli II e VIII.