CAPITOLO VIII
Analisi delle opere di Elisabeth Vigée Le Brun dipendenti da modelli neerlandesi (1)
Questa donna ha l'intelligenza dei maestri; -ha qualcosa di Van Dyck-; dipinge come un uomo. (2)
La prima indiscutibile
testimonianza della derivazione diretta di un dipinto della Vigée Le Brun da
un'opera di un altro autore si trova nelle sue memorie, dove ella confessa, non
senza orgoglio, che il suo Autoritratto col cappello di
paglia del 1781 (3) è un omaggio allo Chapeau de paille (4) di
Rubens visto ad Anversa presso il collezionista van Havre (5). Di più: la
pittrice lo considera una nuova versione del dipinto, in cui ella riesce a
raggiungere lo stesso gioco di luci dirette e indirette creato dal grande
maestro fiammingo.
In gioventù la pittrice aveva già usato opere
di pittori coevi per eseguire ritratti di vari personaggi (anche di Maria
Antonietta), ma in quei casi si trattava di copie pedisseque, non di
rielaborazioni personali. Con l’Autoritratto
del 1781, ella ci svela la natura del suo apprendimento artistico e il genere
di approccio nei confronti dei lavori dei maggiori maestri.
Anche se spesso sono i costumi e le pose gli
elementi più sfruttati da Elisabeth, in questo e in altri casi è una soluzione
tecnica ad ispirarla. Sono le luci ed i colori che Rubens ha usato (6) che lei
cerca di riprodurre nel suo autoritratto: il suo grande effetto sta nei due
diversi tipi di illuminazione prodotti dalla luce del giorno e da quella del
sole; quindi i toni chiari sono al sole, e i toni, che in mancanza di altra
parola devo chiamare ombre, sono prodotti dalla luce del giorno (7). La
posa è differente, il taglio è diverso e gli abiti si assomigliano solo per i
colori e la scollatura maliziosa. Forse solo un pittore può apprezzare tutta
la potenza di esecuzione dispiegata qui da Rubens (8), e come pittrice ella
si mostra in questo autoritratto, con in mano tavolozza e pennelli (9).
Oltre al ritratto di Susanne Fourment, durante
il viaggio nei Paesi Bassi la Vigée Le Brun ebbe modo di ammirare molte altre
opere, come si è già visto precedentemente (10). Ad Anversa, in quel periodo,
era possibile vedere il ritratto di Jan Gaspar
Gevaerts di Rubens (11) presso i discendenti del modello. L’influsso di
quest’opera è evidente nel ritratto del 1799 della Principessa Isabella
Lubomirska (12), che, come il cronista anversese, siede a una scrivania con
carte, libri e occorrente per scrivere e ha di fronte un busto antico di
profilo. Entrambi i personaggi sono rivolti verso lo spettatore, ma mentre il
serio personaggio fiammingo è colto durante il suo lavoro, la nobildonna non
indugia fra le sue carte e si presta con magnanimità ad essere osservata e
ritratta.
Anche la galleria del marito Jean Baptiste
Pierre Le Brun e le collezioni private parigine, parte delle quali egli aiutò a
formare (13), sono state fonti di ispirazione molto significative per la
pittrice. In uno di questi frangenti Elisabeth ammette il plagio: nel 1787, si
finge istigata da David a usare una delle stampe del consorte con una Sacra
famiglia di Raffaello (14) per risolvere lo spinoso problema della
composizione del grande ritratto di Maria Antonietta
con i figli a Versailles (15). Al Salon nessuno si accorse del
plagio forse anche perché, in fondo, dal dipinto di Raffaello la pittrice aveva
preso semplicemente la composizione piramidale delle figure e il san Giovanni,
tramutato nella principessina Marie Thérèse Charlotte.
Era già la seconda volta che la pittrice
"copiava" un’opera appartenente al marito senza che nessuno lo
notasse. Nel 1780 dipinse quello che sarebbe stato il suo morceau de
réception all’Academie Royale tre anni più tardi: La Pace che
riporta l’Abbondanza (16). Molti critici del Salon del 1783 (17)
accusarono la pittrice di aver spudoratamente copiato, ma come prove portavano
dipinti che, pur avendo lo stesso tema, non avevano molto in comune con l’opera
della Vigée Le Brun né dal punto di vista compositivo, né, soprattutto, da
quello stilistico (18). Nell’anno in cui l’opera fu eseguita, invece, nella
galleria di Le Brun, vi era uno studio di Rubens per i dipinti della Galerie
du Luxemburg intitolato proprio La Pace che abbraccia l’Abbondanza (19).
La pittrice, sempre più desiderosa di essere accettata all'Accademia come
pittrice di storia, non poteva non approfittare del nuovo
"suggerimento" che Rubens le porgeva. Sembra quasi che la Vigée Le
Brun abbia cercato in quest'opera una sintesi fra lo stile di Rubens e
quell'eleganza civettuola che aveva reso tanto popolari i suoi graziosi
ritratti delle dame del bel mondo parigino. La figura dell'Abbondanza infatti
risente maggiormente dell'influsso del fiammingo con le sue forme sensuali e
procaci e i colori intensi e caldi (e al Salon molti (20) si erano
blandamente accorti che l'opera aveva una certa aria rubensiana), mentre la
Pace, con il suo abito viola, i capelli scuri e il volto affilato è decisamente
una delle jolies têtes françoises "tipiche" (21) di Elisabeth.
Lo studio di Rubens era stato eseguito per il
ciclo mediceo, che la Vigée Le Brun aveva potuto ammirare fin da giovanissima e
dal quale aveva attinto avidamente numerosi stralci (22). Non stupisce allora
che nel 1785 ella derivi da una figura allegorica
dell’episodio dell’Apoteosi di Enrico IV e proclamazione della reggenza di
Maria de’ Medici (23) la bella posa della Baccante
con pelle di tigre (24). L'impeto drammatico della figura rubensiana si
scioglie nella rivisitazione della pittrice in un atteggiamento morbido e
sensuale. La Baccante non usa il braccio sollevato per difendere il volto da
una scena grandiosa, ma per metterlo in evidenza ed evitare di essere
abbagliata dalla luce del sole che accentua il candore della pelle esaltato
dallo sfondo scuro e dalla pelliccia adagiata sulle gambe nude e parfaitement
imitée (25). Di quest'opera si discusse lungamente nel Salon del
1785, sotto numerosi punti di vista (26). L'argomento di maggiore interesse non
faceva però riferimento all'opera dal punto di vista artistico o stilistico:
non potendo partecipare alle lezioni di nudo all'Accademia, come poteva una
donna dipingere una donna svestita?
La maggior parte dei critici prese in
considerazione questo enigma come un rimprovero a tutte quelle donne pittrici
che osavano oltrepassare i limiti imposti dalle regole non scritte
dell'Accademia: non potevano dipingere allegorie perché non avevano la
preparazione adatta, dovevano invece accontentarsi di ritratti, miniature e
nature morte e preferibilmente utilizzare il più femminile pastello piuttosto
che l'olio, considerato una prerogativa virile. Altri critici invece si
interessarono alla questione con un approccio ben più intrigante: per non
accreditare alla pittrice la sconveniente ipotesi di aver avuto una modella
privata, ritennero che la Vigée Le Brun avesse ritratto se stessa nelle (poche)
vesti della seguace di Bacco. La faccenda ha risvolti ancora più piccanti se si
considera il fatto che oltre a questa Baccante, Elisabeth ne eseguì un'altra
molto simile nella fisionomia (27) per il conte di Vaudreuil, da
molti ritenuto suo amante.
Il conte de Vaudreuil era uno dei più assidui
committenti di Elisabeth e di certo ella aveva visitato la sua casa di Parigi,
adorna
della collezione di quadri fiamminghi e
olandesi che Le Brun aveva consigliato al conte di acquistare (28). Fra queste
opere vi era anche l'eccezionale ritratto di Helene Fourment coi figli Clara
Joanna e Frans di Rubens (29), che faceva parte della vendita del 1784
organizzata per Vaudreuil dallo stesso Le Brun e che fu acquistata per le
collezioni reali. Di certo la pittrice aveva ammirato spesso il dipinto del suo
più amato maestro e se ne ricordò a lungo, visto che lo stesso tipo di tocco che
Rubens usò per ritrarre suo figlio, lei lo
riprese in un pastello (30) eseguito a Dresda nel
1801.
Un'altra opera di storia eseguita dalla
pittrice su commissione di Vaudreuil è la Venere che lega le ali a Cupido
(31) del 1780 (32), che il conte acquistò dopo il Salon del 1781
(33). Anche qui si può notare una certa affinità con un ritratto di famiglia di
Rubens: Helene Fourment con il figlio Frans su una terrazza (34). La
pittrice non poteva aver visto l'opera direttamente, ma è probabile che
all'epoca ne esistesse un'incisione, infatti è abbastanza chiara la dipendenza
del pastello della Vigée Le Brun dalla composizione rubensiana. La posa della
Venere e del Cupido che tiene sulle ginocchia è quasi la stessa della moglie e
del figlio di Rubens, ma speculare. La posizione del corpo delle due donne, la
nudità dei bambini e i volti, che, in entrambi, sono appena inclinati con
dolcezza e intenti a guardare lo spettatore sono molto simili e anche il
leggero drappo fluttuante sulla schiena della Venere può sembrare una ripresa
del motivo della mantellina bianca che Helene Fourment ha sulle spalle.
La Vigée Le Brun venne accusata di avere una
relazione sentimentale anche con un altro importante collezionista di arte
fiamminga e olandese: Charles Alexandre de Calonne, ministro delle finanze.
Egli possedeva un Ritratto di Saskia van Ulenborch di Rembrandt (35) di
cui la pittrice mostra un chiaro ricordo nel ritratto di Arabella
Diana Duchessa del Dorset (36), eseguito nel 1804, in
Inghilterra. I busti delle due donne emergono da un fondo scuro uniforme e i
loro volti sono rischiarati da una luce che sembra provenire dai colletti
candidi delle camicie che spuntano dagli abiti neri come la pece. Saskia
indossa un casto velo dai toni ambrati, che però non riesce a contenere i bei
riccioli biondi che ricadono mollemente sulla fronte. Anche i capelli corvini
della duchessa del Dorset fanno capolino dal suo copricapo, che è però un
berretto rosso adornato da una piuma nera. Questo particolare rimanda a un
altro dipinto di Rembrandt, un Ritratto di donna in costume di fantasia (37),
in cui è presente lo stesso tipo di accostamento di luci e ombre, e dove la
donna indossa un cappello ornato di piume scure.
Le visite della pittrice alle collezioni
parigine a lei contemporanee furono assidue, ma ella non si limitò a questo.
Molte delle sue opere dimostrano chiaramente che Elisabeth conosceva anche
dipinti appartenuti a collezioni estinte prima della sua nascita o durante la
sua primissima infanzia. Di alcune collezioni erano disponibili cataloghi di
inventario o di vendita con incisioni o disegni illustrativi, di altre, invece,
la Vigée Le Brun seguì le orme e ne trovò i frammenti presso i nuovi
proprietari.
Nel 1746 era stato stilato l’inventario della
collezione Huet e il numero 668 era il Nicolaas de Respaigne in costume
orientale di Rubens (38), che nel 1751 arrivò a Kassel. Anche se non vi è
una testimonianza sicura, del dipinto doveva essere stata eseguita un'incisione
per il catalogo dell’inventario o per quello della vendita, poiché l’impianto
del ritratto è identico a quello che la pittrice usò nel 1789 per il ritratto
di Mohammed Dervisch-Khan, ambasciatore indiano, col suo pugnale (39).
Mohammed Dervish-Khan si staglia al centro della grande tela con forza,
occupandola quasi completamente, con la stessa protervia e massa di Nicolaas de
Respaigne. La posa è identica e anche l'abbigliamento dei due personaggi è
simile, con un'alta fascia che trattiene un po' più in alto della vita la lunga
veste.
Vero è che Rubens utilizzò più volte il
prototipo del Nicolaas (40) in opere più facilmente accessibili alla
pittrice e nelle collezioni reali c’era l’Autoritratto
in costume orientale con barboncino di Rembrandt (41), che
presenta anch'esso delle analogie compositive col Mohammed della Vigée
Le Brun, ma in queste altre opere ci sono sostanziali differenze sia di posa
che di impostazione, che invece non si presentano nel confronto con il Nicolaas
de Respaigne.
La collezione Crozat sembra essere stata una
fonte inesauribile di modelli che la Vigée Le Brun assorbì e rielaborò negli
anni, dopo aver avuto la possibilità di conoscerli prima a Parigi (42) e poi di
rivederli alla corte russa di Caterina II.
Fra le opere della collezione acquistate da
Caterina II vi era il ritratto di Everhard Jabach
di Van Dyck (43). Questo dipinto sembra essere ritornato in mente alla pittrice
durante il suo soggiorno a Vienna, sia per la composizione, sia ancor più per
il soggetto. Infatti, come l'illustre predecessore anversese, Elisabeth era
stata chiamata a immortalare un banchiere e collezionista di disegni (44): il
conte Maurice De Fries (45). I due ritratti, pur non avendo
corrispondenze molto precise, hanno comunque discrete affinità, come la posa di
tre quarti dei due soggetti, il limpido sfondo paesistico in cui spicca il
castello, simbolo del potere e della ricchezza del personaggio, che non era
stata messa in risalto nell’abbigliamento dei due personaggi, che in entrambi i
casi è sobrio e lascia che l'attenzione dello spettatore si concentri sul volto
pacato del modello ritratto.
Caterina di Russia si era già accaparrata la Madonna
con Bambino di Rubens (46) in un’asta Crozat-Thiers precedente, nel 1771.
Anche in questo caso la pittrice poteva essere presente all’asta, ma poteva
anche aver visto l’opera direttamente a San Pietroburgo nel 1795, dove il
dipinto era ed è a tutt'oggi. L'influsso di quest'opera è evidente nel ritratto
della Principessa Alexandra Petrovna con il nipote Piotr (47) del 1796.
La composizione è identica: la Madonna è ritratta seduta a figura quasi intera
mentre sostiene con tenerezza il figlio, che si slancia affettuosamente verso
il volto della madre. Nel caso della contessa e di suo nipote, c'è un certo
calo di tensione, poiché gli sguardi dei due personaggi non si incontrano: la
principessa infatti non guarda intenerita il piccolo Piotr come fa invece la
Madonna col Bambino, ma fissa la pittrice, quasi a voler controllare
l'esecuzione del suo ritratto.
Fra le opere in possesso della zarina, altre
due di van Dyck sembrano aver ispirato Elisabeth durante e dopo il suo
soggiorno russo. La prima è il doppio ritratto di Elisabeth e Philadelphia
Wharton (48), che è chiaramente ripreso nel ritratto delle due giovani
granduchesse Yelena e Aleksandra Pavlovna figlie
dell’imperatore Paolo I (49). Le due coppie di bambine hanno molti
particolari in comune: sono unite in un leggero abbraccio e le loro figure
snelle ed eleganti spiccano su un fondo neutro. Gli abiti, pur di foggia ben
diversa, hanno gli stessi colori, azzurro uno, bianco e rosa l'altro, e
l'abbigliamento è completato da semplici e sottili collane d'oro. Il
particolare degli abiti è più interessante di quanto si possa credere, infatti
pare che la Vigée Le Brun abbia dovuto rifare il quadro (50) per le rimostranze
fatte da Caterina II sulla versione precedente in cui, secondo l'imperatrice,
le sue nipotine avevano un abbigliamento sconveniente (51). Siamo davanti a uno
dei numerosi casi di immedesimazione della nostra pittrice con un maestro del
passato di cui già imita lo stile: infatti è famosa l'analoga vicenda accaduta
nel 1635 a van Dyck con il ritratto dei tre figli di Carlo I (52). Se non fosse
per le lettere di Caterina II a Grimm sarebbe facile pensare a una invenzione
di Elisabeth.
Dal 1769 all’Ermitage c’era anche il ritratto
di Willem II di Nassau e Orange, sempre di Van Dyck (53), di cui si
trovano chiare tracce nel presunto ritratto del Giovane
Polastron (54), di cui non si conosce la datazione esatta, ma
che ritengo possa risalire al periodo del soggiorno inglese (1803-1805) (55) di
Elisabeth. La posa del giovane Polastron è identica a quella usata da van Dyck
per Willem, ma speculare. L'atteggiamento fiero e quasi sprezzante del damerino
francese, sarebbe quasi più adatta all'altro fanciullo, che tiene nelle mani un
bastone e una piccola spada. Nel dipinto della Vigée Le Brun tutti i
particolari sono invece frivoli: al posto dei simboli del potere militare vi
sono una poltrona baroccheggiante e un cappello a tesa larga con un nastro e
una grande piuma, mentre il bambino ha un elegante abito di seta e pizzi (56).
L'ambientazione è ben diversa: van Dyck inserisce il suo modello in un
paesaggio, mentre la Vigée Le Brun preferisce un interno elegante, con un gran
drappo scenografico, tipico dei ritratti ufficiali del Seicento.
Qualche anno prima di soggiornare in Russia,
nel 1792, la Vigée Le Brun aveva trascorso qualche settimana a Milano. In quel
periodo, alla Pinacoteca Ambrosiana, c’era la Madonna col Bambino in
ghirlanda di fiori di Rubens (57). L’anno successivo, a Vienna, la stessa
posa della Madonna e del Bambino, si trovano nel ritratto della Contessa von
Schoenfeld con la figlia in grembo (58). Anche qui, come si è già visto per
la Principessa Alexandra Petrovna con il nipote Piotr (59), la donna
ritratta osserva la pittrice e anche la bambina è rivolta verso di lei, ma
madre e figlia sono teneramente legate nello stesso affettuoso abbraccio della
Vergine col Bambino di Rubens.
La Germania fu per la Vigée Le Brun un
passaggio obbligato sia per arrivare in Russia nel 1795, sia per tornare in
Francia nel 1801. Il William Pleydell-Bouverie, Terzo Earl di Radnor (60)
eseguito a Londra, presenta la stessa posizione del personaggio del Ritratto
a figura intera di uomo in piedi davanti a una porta di Rembrandt (61) che
era a Kassel durante i due passaggi della pittrice in Germania. Sappiamo che
almeno la seconda volta la Vigée Le Brun vi fece una breve tappa. Nella postura
del giovane politico vi è anche un certo ricordo del Rupert, principe del
Palatinato di Van Dyck (62) del Kunsthistorisches Museum di Vienna, dove
Elisabeth era stata dal 1793 al 1795.
Alcune opere della Vigée Le Brun mostrano un
rapporto evidente con modelli fiamminghi, che però non sono facilmente
collocabili all'epoca della pittrice, quindi non è chiaro come e se ella abbia
potuto vederli davvero. Per certi dipinti molto noti, è possibile che
esistessero delle incisioni o delle copie di altri autori, con cui Elisabeth
poteva essere venuta in contatto. Per esempio, la Ragazza appoggiata a un
davanzale (63) di Rembrandt era all'epoca molto apprezzata in Francia ed è
probabile che molti pittori l'avessero copiata. Dal canto suo, Elisabeth mostrò
di apprezzare più dei suoi contemporanei (64) le opere di Rembrandt e non mi
sembra azzardato vedere nel ritratto della piccola Caroline Lalive de la
Briche (65) del 1787, un omaggio alla Ragazza
appoggiata a un davanzale. Come la sconosciuta bambina olandese del
quadro di Rembrandt, anche Caroline è posta di tre quarti con le braccia conserte
e il volto frontale e indossa una semplice camiciola di mussola bianca. Il
quadro di Rembrandt era nella collezione Crozat e riscosse molto successo
presso i visitatori della galleria. In particolare, come già anticipato (66),
piacque molto a Sir Joshua Reynolds, che ne fece una graziosa copia nel 1781
(67). Elisabeth afferma nei Souvenirs di conoscere e apprezzare le opere
del pittore inglese (68), ma non dice di averlo incontrato, né specifica quali
suoi quadri avesse visto. È comunque un'ipotesi allettante pensare che ella
abbia potuto vedere l'interpretazione di Reynolds di questo quadro, che
potrebbe esserle servita come trait d'union fra l'originale di Rembrandt e il
ritratto della piccola de la Briche.
Un altro confronto evidente è quello fra un
ritratto di Nobildonna genovese con la figlia di Van Dyck (69) e il
ritratto della nostra di Madame Caroline Murat con la figlia Letizia (70),
che la pittrice eseguì, controvoglia, nel 1807 per Napoleone. Della grande tela
vandychiana si sa che era a Genova nel 1780 e a Firenze nel 1829, ma non è
chiaro in che anno il quadro fosse arrivato a Firenze. Se vi fosse stato nel
1790 o nel 1792 la pittrice lo avrebbe potuto vedere là, altrimenti doveva
esistere un’incisione o una copia dell’opera. Infatti è indubbio che
l’impostazione del quadro sia stata usata da Elisabeth per risolvere senza
troppi problemi la composizione di un dipinto che non era contenta di fare
(71). Van Dyck aveva trovato un'ottima soluzione per dare grande risalto alla
donna presente nel quadro, maestosa e distaccata (non guarda la piccola che le
stende le braccia), facendo però in modo che la bambina, relegata nella parte
inferiore del quadro, non risultasse eclissata: la mano destra della madre
indica la figlia ed essa ha uno spazio tutto suo davanti alla parete chiara di
sinistra. Lo stesso accade nel quadro della Vigée Le Brun, dove gli usuali
particolari à la mode camuffano il plagio, questa volta fin troppo
evidente.
Un'altra opera di van Dyck che la pittrice
potrebbe non aver visto direttamente sembra trasparire dal ritratto della Principessa
Poniatowska (72): Lady Shirley (73). La stravagante modella della
Vigée Le Brun, adagiata mollemente su grandi cuscini, con uno scenico drappo
increspato alle spalle, le mani posate sul grembo e lo sguardo tranquillo, ma
fisso sullo spettatore sembra il riflesso della donna ritratta da van Dyck.
Analizzando il ritratto di Madamoiselle Hyacinthe Gabrielle Roland (74), Baillio
(75) ha ipotizzato che per la sua composizione Elisabeth avesse in mente il
ritratto di Helene Fourment in pelliccia (76) di Rubens, avendolo visto
tramite un'incisione o una copia anonima (77), poiché all'epoca la pittrice non
era ancora stata a Vienna, dove il ritratto di Rubens era già dal 1730.
Lo studioso americano è molto preciso nell'analisi del rapporto fra queste due
opere (78) e pur concordando con la sua teoria (79), a mio parere esiste anche
un'altra opera di Rubens che potrebbe essere messa in rapporto con il ritratto
della Vigée Le Brun: Orfeo ed Euridice lasciano
gli inferi (80). La posa di Euridice corrisponde ancor più esattamente a
quella della Roland, sebbene sia speculare: in entrambi i casi la mano che non
copre il seno non è visibile, mentre lo sguardo delle due donne non è rivolto
verso lo spettatore, come invece capita nel caso del ritratto di Helene
Fourment. Inoltre la Vigée Le Brun utilizzò nuovamente lo stesso schema nel
1797 per il ritratto di una donna oggi difficilmente identificabile (81) e per
il quasi identico ritratto della Granduchessa Anna
Fedorovna (82). L'anno dopo la pittrice utilizza nuovamente questa
soluzione (anche se specularmente), con un effetto più spettacolare per la
dominanza del colore rosso, per il ritratto della Contessa
Varvara Nikolaevna Golovine (83).
Infine, vi sono altri dipinti di Elisabeth che
presentano qualche affinità stilistica o compositiva con opere dei tre maggiori
maestri che ella aveva tanto ammirato fin da giovane: Rembrandt, Rubens e van
Dyck. In queste opere si può forse vedere una rielaborazione più intima e
personale degli insegnamenti appresi dalla pittrice nel corso degli anni con lo
studio assiduo degli esempi del passato.
Il Giovane uomo (84), che io ritengo
risalga al 1793, è ritratto in una posa che ricorda molto gli autoritratti di
Rembrandt del 1628 e del 1629
(85). Non è però solo la posa che rimanda a questi due modelli eccelenti,
infatti il modo di rendere la capigliatura in modo così attento e preciso,
corrisponde alla tecnica accurata che Rembrandt aveva utilizzato soprattutto
nell'Autoritratto di Amsterdam ed è una
tecnica diversa da quella che la pittrice insegna alla nipote nei suoi Conseils
pour la peinture du portrait (86): Les cheveux doivent se dessinner par masse
et très-peu l’emporter; le mieux serait de les faire par glacis, la toile
produisant souvent des transparents dans l’ombre et dans le ton entier.
Un ricordo rubensiano è presente nel ritratto
del 1783 di Madame Grand (87). Nell'espressione trasognata della futura
principessa de Talleyrand, che ricorda comunque anche le desolate fanciulle
greuziane, si fondono gli sguardi estatici di alcune sante rubensiane, in
particolare la Maddalena della Maddalena
penitente e Marta (88), la Santa Cecilia
(89), nota probabilmente attraverso una delle numerosissime riproduzioni a
stampa (90), e la santa Domitilla de I santi
Domitilla, Nereo e Achilleo (91).
Il modello per la Principessa Anna
Alexandrovna Galitzine, nata Principessa Grudzinsky (1763-1842), già Mme
de Litzine (92), sembra invece essere tratto molto liberamente dal Cardinale
Bentivoglio (93) di van Dyck. La principessa possedeva un enorme patrimonio
e si poteva quindi permettere un ritratto a figura intera di grandi dimensioni.
Per una tale personalità era necessario utilizzare una composizione elegante
che mostrasse la ricchezza della modella. Il ritratto del Cardinale
Bentivoglio era un perfetto esempio di ritratto ufficiale, elegante e
perfettamente bilanciato nei colori e nelle forme. La Vigée Le Brun mise la
modella in una postura simile a quella del prelato e usò lo stesso gioco di
colori: bruni e neri per lo sfondo, che lascia indovinare un interno
importante, rosso e bianco in primo piano, a illuminare il personaggio, che con
noncuranza guarda altrove, senza badare allo spettatore. La principessa è
comunque più frivola del cardinale e il vistoso copricapo adorno di piume è
simile a quelli usati da Rembrandt nei suoi personaggi in costume di fantasia,
come una donna alla finestra, a mezzobusto,
oggi a Bayonne (94).
L'arte di Elisabeth Vigée Le Brun è piena di
riferimenti neerlandesi, acquisiti non solo direttamente da modelli specifici,
ma anche mediati dalla cultura del tempo. Molti erano i pittori francesi
dell'epoca ad aver assimilato in vario modo temi e tecniche fiamminghe e
olandesi. Personaggi come Chardin, Greuze o Bouchardon avevano attinto
copiosamente al repertorio iconografico delle scene di genere o intimiste
olandesi, mentre pittori più estrosi come Fragonard, avevano interpretato con una
vena personalissima gli insegnamenti tecnici del grande Rubens.
Anche da questi pittori Elisabeth ebbe modo di
trarre temi e idee compositive di carattere nordico. Ne sono esempio il
giovanile ritratto del fratello Etienne Vigée come
scolaro (95), che è pressoché identico agli scolari di Chardin e di
Bouchardon (96), e i due graziosi ritrattini della figlia Julie esposti nel
1787 (97) che rimandano a modelli olandesi -Rembrandt, Dou- con il chiaro
tramite di Greuze (98). Un interessante rapporto con Fragonard, pittore che la
Vigée Le Brun non nomina mai, ma che doveva pur conoscere, essendo lui caro
amico di Hubert Robert, si può riscontrare nella Madame
Adélaïde Perregaux del 1789 (99). Baillio ha cercato di ricondurre il
dipinto a modelli fiamminghi che, a mio parere, non sono calzanti (100), mentre
ha minimizzato il confronto più congruente con il portrait de fantaisie
di Fragonard detto La Guimard (101).