SCHEDA N°9 (figg. 9a, 9b, 9c, 9d, 9e)

Mohammed Dervisch-Khan, figura intera, col suo pugnale, ambasciatore indiano
1788-1789

Olio su tela
Marnier-Lapostolle Collection, Francia
 

Fig.9a

Fig.9b

Fig.9c

Fig.9d

PROVENIENZA : collezione privata dell’artista; vendita Le Brun post 1813.
BIBLIOGRAFIA : VIGÉE LE BRUN, 1835-37, pp.42-44; HEIM, 1989, p.383.
ESPOSIZIONI : 1789, Parigi, Salon de l'Académie Royale.

REPLICHE E COPIE: contemporaneamente la Vigée Le Brun eseguì un ritratto in pendant dello stesso Mohammed Dervisch-Khan accanto al padre Mohammed Ufman Khan seduto, anch’esso ambasciatore.

Mohammed Dervisch-Khan, insieme al padre, fu ambasciatore indiano a Parigi, mandato dall’imperatore Tipoo-Saïb. Il loro scopo era quello di concludere un’alleanza difensiva e offensiva col re Luigi XVI, e di chiedergli aiuto contro gli inglesi nella speranza di cacciarli dall’India. La loro missione non ebbe successo e i due, tornati in patria, furono decapitati a Maïssour per il loro fallimento. La pittrice fu molto incuriosita dai due esotici rappresentanti imperiali e così ne parla nei suoi Souvenirs: Non voglio dimenticare di dirle come abbia dipinto nella mia vita due diplomatici che, pur essendo color rame, avevano però teste magnifiche. Nel 1788 degli ambasciatori furono mandati a Parigi dall'imperatore Tipoo-Saïb. Vidi questi indiani all'Opéra e mi parvero così straordinariamente pittoreschi che volli fare i loro ritratti. Avendo espresso tale desiderio al loro interprete, seppi che non avrebbero mai acconsentito a lasciarsi dipingere se la richiesta non fosse giunta da parte del re e io ottenni questo favore da Sua Maestà. Andai al palazzo dove abitavano, perché volevano essere dipinti in casa loro, portai grandi tele e colori. Quando giunsi nel loro salone, uno di loro portò dell'acqua di rose e me ne asperse le mani; poi il più alto, che si chiamava Davich Khan, mi concesse di dipingerlo. Lo ritrassi in piedi, con il pugnale in mano. I panni, le mani, tutto fu fatto dal vero, tanto posava con compiacenza. Lasciai asciugare il quadro in un altro salotto e cominciai il ritratto del vecchio ambasciatore che ritrassi con il figlio vicino. Il padre specialmente aveva una testa magnifica. Entrambi indossavano vesti di mussola bianca, cosparse di fiori d'oro; e queste vesti, specie di tuniche a larghe maniche plissettate in sbieco, erano trattenute da ricche cinture. Finii completamente il lavoro presso di loro, tranne lo sfondo e la parte inferiore dei vestiti. [...] Questi due quadri sono stati esposti al Salone del 1789. Dopo la morte di Le Brun che si era impadronito di tutte le mie opere, sono stati venduti e non so chi oggi ne sia in possesso. (VIGÉE LE BRUN, 1835-37, pp.42-43).
I due ambasciatori non ottennero dal re l’aiuto che erano venuti a cercare, ma tutta la corte e la buona società di Parigi li circondarono di attenzioni e curiosità per il loro aspetto e per le abitudini e i costumi tanto diversi da quelli occidentali. Madame Bonneuil seppe dalla Vigée Le Brun che i due avevano posato per lei ed era ansiosa di poterli conoscere di persona. Ella soddisfò presto la sua curiosità quando fu invitata a cena con la pittrice presso i due ambasciatori. Quando entrammo nella sala da pranzo facemmo quasi un balzo indietro vedendo che la cena era servita sul pavimento. Ovviamente ci sentimmo obbligate a seguire i loro costumi e ci ritrovammo quasi distese intorno alla tavola. Ci servirono con le loro mani, prendendo il cibo da vari piatti, uno dei quali conteneva una fricassea di zampe di pecora, servita con una salsa bianca piccante, mentre un altro era una specie di stufato. Mi spiace dover dire che passammo una pessima serata; trovammo la vista di quelle mani bronzee usate come cucchiai troppo repellenti. Avevano portato con loro un giovane che parlava un po’ di francese. Durante l’incontro, Mme Bonneuil gli insegnò a cantare Annette à l'âge de quinze ans. Quando arrivò l’ora di darsi la buonanotte, egli cantò la sua canzone e mostrò di essere dispiaciuto perché ce ne stavamo andando e disse, 'Ah, come piange il mio cuore!' Pensai che tutto ciò fosse tipicamente orientale e detto in modo molto grazioso (p.43). I difficili rapporti fra culture così diverse ebbero ripercussioni anche nel lavoro della Vigée Le Brun che voleva vedere nel suo studio il dipinto una volta asciutto, ma egli lo aveva nascosto dietro al suo letto e non voleva darmelo, dicendo che il ritratto aveva bisogno di un’anima... Non fu possibile reclamare il mio dipinto se non con un sotterfugio. Quando l’ambasciatore realizzò che era sparito, mandò a chiamare il suo valletto, con l’intenzione di ucciderlo. L’interprete ebbe enormi difficoltà a persuaderlo che non si potevano uccidere i propri valletti a Parigi. Dovette anche dirgli che il ritratto era stato requisito dal re di Francia (p.44). L’ambasciatore (Fig.9a) domina la grande tela stagliandosi nel centro come una grande colonna bianca davanti a un paesaggio drammatico, con un’espressione grave con la quale sembra quasi rimproverare qualcuno che sia arrivato a disturbare la seduta per il ritratto. La postura delle braccia è un po’ rigida. Le due diagonali delle braccia convergono idealmente sulla testa ad angolo retto e anche i due lembi della lunga cintura e le pieghe della veste muovono l’occhio verso l’alto perché si focalizzi sul volto. La sciabola rende la composizione asimmetrica e la sua forma curva stona un po’ nella struttura lineare degli altri elementi. La posa e l’abbigliamento dell’ambasciatore indiano hanno una straordinaria somiglianza con quelli di Nicolaas de Respaigne in costume orientale  di Rubens (Fig.9b, olio su tela, 206,5 x 120,2 cm, Kassel, Staatliche Kunstsammlungen), che, prima di arrivare a Kassel nel 1751, era nella collezione Huet (n°668 dell’inventario del 1749). Il soggetto è stato poi usato da Rubens anche in altre tele: La regina di Tomiri con la testa di Ciro (Fig.9c, olio su tela, 205 x 362 cm, Boston, Museum of Fine Arts) e l’Adorazione dei Magi (Fig.9d, olio su tela, 447 x 336 cm, Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten). La stessa posa la ritroviamo nell’Autoritratto in costume orientale con barboncino di Rembrandt e bottega (Fig.9e, olio su tavola, 66,5 X 52 cm, Parigi, Musée du Petit Palais).