CAPITOLO I

1755-1774: Mademoiselle Vigée

 

…peindre et vivre n’a jamais été qu’un seul et meme mot pour moi, et j’ai bien souvent rendu graces a la Providence de m’avoir donné cette vue excellente… (1)

Louise Elisabeth Vigée Le Brun nacque a Parigi, in rue Coquillière il 16 aprile del 1755. Per una curiosa coincidenza, nello stesso anno, a Vienna, nacque anche colei che in futuro l’avrebbe voluta come ritrattista ufficiale e le avrebbe assicurato l’ingresso all’Académie Royale: Maria Antonietta, futura regina di Francia.
La madre di Elisabeth, Jeanne Maissin, era una parrucchiera, mentre il padre, Louis Vigée, era un discreto ritrattista. A tre mesi la bambina fu affidata a una balia di Epernon, vicino a Chartres, dove rimase fino all’età di 5 anni. Nel 1760 iniziò l’educandato nella scuola del convento della Trinità in rue de Charonne, a Parigi, e vi rimase stabilmente per sette lunghi anni dimostrando già un precocissimo talento artistico:
Durante questo periodo di tempo, facevo molti abbozzi, continuamente e dappertutto; i quaderni sui quali scrivevo, e anche quelli delle mie compagne, avevano il margine pieno di testoline, di faccia o di profilo; sui muri del dormitorio, tracciavo a carboncino visi o paesaggi: pensi dunque quanto spesso fossi messa in castigo! Nei momenti di ricreazione, poi, disegnavo sulla sabbia tutto quello che mi passava per la mente. (2)
Dopo aver finito gli studi la piccola pittrice poté tornare in seno alla sua famiglia. Il padre, al quale ella era molto legata, fu il suo primo, fondamentale contatto con il mondo dell’arte e la fece partecipare alle lezioni di disegno che si tenevano nel suo atelier, incoraggiando la passione della figlia.
Mi ricordo che a sette o otto anni disegnai a luce di lampada un uomo con la barba, che ho da sempre conservato. Lo feci vedere a mio padre che, in un trasporto di gioia, esclamò: "Sarai pittrice, bambina mia, o nessun altro mai lo sarà!" (3)
Louis Vigée era un buon ritrattista. Eseguiva soprattutto lavori a pastello sulla scia di La Tour, ma anche olii di pregevole qualità, con uno stile simile a quello di Watteau. La sua bottega era frequentata da un buon numero di allievi, ma le sue lezioni non potevano rappresentare una preparazione artistica adeguata per la figlia, che era evidentemente destinata ad avere un successo di gran lunga superiore rispetto a quello del padre (4). Nei confronti di Elisabeth il suo merito principale è stato sicuramente quello di averla fatta partecipare alle riunioni di artisti che si tenevano nella sua casa mettendola precocemente in contatto con quei personaggi che l’avrebbero aiutata a diventare una delle ritrattiste più ricercate nell’Europa del Settecento e dell’Ottocento.
A quel tempo, mio padre riuniva alla sera parecchi artisti e alcuni letterati. Capolista di tutti metterei Doyen (5) (…) parlava con tanto calore della pittura da farmi venire il batticuore. (6)
Oltre a Doyen, vi erano Briard (7), Davesne (8) – quest'ultimo volle insegnare alla bambina come si prepara la tavolozza – e Joseph Vernet (9), che sarà il suo tutore e massimo ispiratore dopo la morte di Louis Vigée. Il 9 maggio 1768 Elisabeth rimase orfana del padre, morto per una grave infezione (10). Il dolore per la grave perdita fu tale che la piccola smise di disegnare e dipingere, ma Doyen e Vernet riuscirono, con le loro affettuose insistenze, a farle riprendere in mano matite e pennelli.
Insieme a Mademoiselle Rosalie Bocquet (11) andava al Louvre, da Briard, per copiare disegni e calchi, poi, la sera, andava a casa della giovane amica, il cui padre aveva una bottega di antichità a Saint Denis, a dipingere il più sovente alla lampada (12). Iniziò anche a dipingere dal vero usando come modelli i componenti della sua famiglia: il fratello Etienne, la madre e il patrigno Le Sevre, che nel frattempo aveva preso il posto del padre. Copiava anche opere a olio degli amici del padre: sono di questi anni due copie di paesaggi di Vernet (Donna che attinge acqua da un pozzo e Marinaio che spinge la sua barca verso la spiaggia (13) ). E fu proprio Joseph Vernet a darle il consiglio che segnerà per sempre lo stile della pittrice:
Non segua nessun sistema di scuola. Consulti solo le opere dei grandi maestri italiani e fiamminghi; ma lavori soprattutto il più possibile dal vero: la natura è il primo di tutti i maestri. Se lei la studierà con cura, eviterà di limitarsi a una sola maniera. (14)
Vernet e Greuze le aprirono le porte delle collezioni del marchese di Lévis, del marchese Harens de Presle e del duca de Choiseul-Praslin.
Ho ragione di credere che la collezione del duca de Choiseul-Praslin, altro non sia che quella di Etienne-François de Choiseul-Stainville (15), che divenne poi duca di Choiseul, infatti le opere in suo possesso sono analoghe, per autori (Wouwermans, Berchem, Ruisdael, van der Werff, Metsu, Ter Borch, Dou e Teniers) e soggetti (paesaggi, scene di genere o intimiste), a quelle di altre collezioni che la pittrice frequentava assiduamente. Inoltre spesso nei Souvenirs si trovano riferimenti parzialmente errati a nomi e titoli nobiliari, o una ortografia differente dall’odierna, pertanto anche l'indicazione parziale dovrebbe essere sufficiente per l'identificazione.
Nel 1771 morì Louis Antoine Crozat, Barone de Thiers, e nel gennaio dell’anno successivo la collezione fu venduta(16). Il barone teneva la sua eccezionale collezione nella casa di place Vendôme e consentiva spesso l’accesso alle sale a vari artisti e curiosi. Gabriel de Saint-Aubain ne aveva anche illustrto un catalogo con cento disegni a penna. È facile pensare che la pittrice avesse avuto il permesso di visitare la collezione ricca di opere dei suoi maggiori ispiratori: Rubens, Rembrandt e van Dyck. Infatti, molte opere di Elisabeth antecedenti al suo soggiorno a San Pietroburgo (1795-1801) presentano chiare allusioni a dipinti presenti nella collezione Crozat-Thiers (17).
Anche la madre, Jeanne Maissin, contribuì alla formazione della giovane artista, poiché, vedendola così addolorata per la perdita crudele che avevo subita [la morte del padre], non trovò di meglio, per distrarmene, che portarmi a vedere dei quadri (18), e la condusse a visitare la collezione di Rendon de Boisset (19), quella del Palais Royal e il Palace du Louxembourg, che traboccavano di quegli esempi di grandi maestri che ella avrebbe seguito per tutta la vita. In particolare, al Palais Royale, vi erano ben 5500 disegni della collezione di Everard Jabach (1607-1695), fra cui figuravano numerose opere fiamminghe (20) e al Palace du Louxembourg ammirò e copiò con bramosa attenzione vari brani del ciclo mediceo di Rubens, opera fondamentale per la formazione della piccola Elisabeth (21), come si potrà notare in più di una sua opera (22).
La pittrice, quasi ottantenne, ricorda con trasporto nelle sue memorie l’effetto che ebbero su di lei quelle visite (che, nel caso di collezioni private, erano frutto di amicizia e di stima, non di intrighi galanti come insinua riduttivamente la Greer (23)):
Appena entravo in una di quelle ricche gallerie, potevo proprio essere paragonata a un’ape, tante erano le nozioni che vi raccoglievo e i ricordi utili alla mia arte, inebriandomi della contemplazione dei grandi maestri. Inoltre, per perfezionarmi, copiavo alcuni quadri di Rubens, alcune teste di Rembrandt, di Van Dyck, e parecchie teste di giovinetti di Greuze, perché proprio queste ultime mi insegnavano efficacemente le mezzetinte caratteristiche delle carnagioni delicate: anche Van Dyck le insegna, ancor più finemente. A questo lavoro devo lo studio tanto importante dell’affievolirsi delle luci sulle parti prominenti di una testa, sfumatura che ho tanto ammirata nelle teste di Raffaello, le quali davvero comprendono ogni perfezione (24).
Di queste copie la pittrice fa menzione nella sua lista di opere alla fine dei Souvenirs (Numerose teste e copie da Raffaello, Van Dyck, Rembrandt, ecc...) e si sa che sono state esposte all’Académie de Saint Luc nel 1774, ma purtroppo non se ne hanno più notizie.
Nel passo dei Souvenirs appena citato sono stati messi in evidenza tre particolari: la metafora dell'ape - me comparer à l'abeille -, l'importanza della memoria -de souvenirs utiles à mon art- e il concetto di inebriamento -tout en m'enivrant de jouissances- (25).
La metafora dell'ape ha origini lontanissime e una levatura culturale che appare quasi fuori luogo nelle memorie di Elisabeth, che sottolinea spesso la sua ridottissima istruzione e la sua poca dimestichezza con i libri: questo esempio naturalistico è al centro di un'epistola di Seneca a Lucilio, in cui si sottolinea l'importanza di attingere da fonti diverse per ottenere un miglior risultato personale (26). Seneca spiega a Lucilio che come le api bisogna scegliere il meglio fra ciò che abbiamo a disposizione e poi utilizzare le nozioni acquisite per creare qualcosa di originale. Quid ergo? non intellegetur, cuius imiteris orationem? cuius argumentationem? cuius sententias? Obietta l'allievo. Puto aliquando ne intellegi quidem posse, si magni vir ingenii omibus, quae ex quo velut exemplari traxit, formam suam inpressit, ut in unitatem illa conpetant (27). Risponde il maestro. Lo stesso concetto di imitazione selettiva, riferito più precisamente all'arte pittorica, ritorna nell'Institutio Oratoria di Quintiliano (28), che sottolinea in modo preciso l'atteggiamento da assumere nei confronti dei modelli del passato: exactissimo iudicio circa hanc partem studiorum examinanda sunt omnia. Primum, quos imitemur (…) tum in ipsis quos elegerimus quid sit <ad quos nos efficiendum comparemus (29).
Il Rinascimento fece propri questi principi e li sviluppò nella teoria dell'imitatio, che era ritenuta fondamentale per l'evoluzione dello stile di ogni pittore, per cui era necessario imitare i classici che già avevano raggiunto la perfezione. Fondamentale, comunque, per tutti i teorici del Cinquecento che parlarono di questo argomento (30), è l'impegno, non solo di prendere a modello gli antichi, ma di superarli, per non diventare semplici copisti: questo concetto sarà ripreso anche in Francia nel 1765 da Michel Dandré-Bardon, professore all'École Royale (31), nel suo Traité de Peinture.
Sin dal Seicento si impose all'Académie la figura del savant peintre, erudito in opere antiche, fra cui quelle di Quintiliano e Seneca, ma anche di Luciano, Plinio, Orazio, Aristotele, Euripide e di altri autori classici che scrissero pagine dedicate all'arte. Fra i tanti discorsi della fine del Seicento e dell'inizio del Settecento sono esemplari il Contre les copistes des manières dell'undici giugno del 1672 di Philippe de Champaigne (32), in cui il pittore, oltre a citare Quintiliano (33), mette in guardia i giovani allievi dalla copie servile di una manière particulière (34) e cita l'esempio delle api (35), e i Discours sur la peinture (1708-1721) di Antoine Coypel (36), che come il suo collega mette in guardia dal servilismo dell'imitazione (37) e in più sottolinea l'importanza di guardare al passato per un miglior progresso dell'arte nel presente (38).
Dal 1775 ad Elisabeth fu concesso di partecipare alle assemblee settimanali dell'Académie Royale (39), dove potrebbe aver sentito discorsi simili sull'imitazione.
Per quanto riguarda Elisabeth è ancor più interessante notare che le stesse argomentazioni furono trattate da Rubens nel taccuino in cui prese nota delle sue teorie artistiche. Nel 1773 a Parigi fu pubblicata la prima edizione a stampa del manoscritto rubensiano, tradotto in francese da Charles-Antoine Jombert. È impossibile pensare che la Vigée Le Brun non abbia avuto fra le mani la Théorie de la figure humaine, considérée dans ses principes, soit en repos ou en mouvement, il testamento spirituale di Rubens -per di più tradotto nella sua lingua-, dalle cui pagine la voce del maestro che aveva scelto di imitare le consigliava di copiare senza posa i migliori artisti e di attingere dalle loro opere tutto ciò che poteva giovare alla sua arte. In un altro testo (40), che la Vigée Le Brun forse non conosceva direttamente, ma che all'epoca era comunque molto noto, è lo stesso Rubens che cita l'esempio delle api per spiegare la sua teoria sull'imitazione:
Een Schildergeest mach als een nutte Bye, die op allerley bloemen vliegt, maer niet dan honich zuigt, ook allerley nutticheit uit de voorbeelden van andre trekken. Alles na te teykenen is te slaefs, jae onmooglijk (41).
Anche il concetto di inebriamento comporta un rapporto con Rubens, che, in De Imitatione Statuarum, una sezione del suo taccuino pubblicata da Roger de Piles nel 1708 (42) e quindi disponibile per Elisabeth, dice che per ben assimilare le opere dell'antichità esse necessariam (…) imo imbibitionem (43).
Come si è già detto l'educazione scolastico-accademica di Elisabeth fu piuttosto scarsa, per non dire inesistente. Le nozioni fondamentali per la sua evoluzione artistica le arrivarono dalle più svariate fonti. Le teorie artistiche rinascimentali potevano essere state oggetto delle conversazioni dei pittori che si riunivano presso la casa di Louis Vigée. Di Seneca e Quintiliano, invece, Elisabeth, che non conosceva il latino, poteva aver sentito parlare nei circoli più eruditi della capitale francese. Nelle sue memorie, la Vigée Le Brun, sottolinea spesso che molte delle nobildonne che frequentava assiduamente possedevano una cultura superiore alla media, pur rimanendo delle squisite intrattenitrici:
La marchesa De Grollier (…) conosceva il latino e il greco ed era estremamente erudita sui maggiori artisti classici (…) durante i miei primi anni di matrimonio (…) preferivo le piccole riunioni che si svolgevano presso la casa della marchesa De Grollier alle altre così affollate; a volte ebbi persino il privilegio di passare l'intera serata sola con lei. La sua conversazione era sempre vivace e ricca di idee, piena di spirito… (44) La nobildonna era una pittrice di nature morte e prediligeva composizioni floreali alla maniera di van Spaendonck e, quando parlava di pittura, come per ogni altro argomento, era molto affascinante; in effetti, non ho mai lasciato il salotto di Mme de Grollier senza aver imparato qualcosa di interessante ed istruttivo (45).
Anche la contessa De Sabran (46) era una di quelle femmes savants che accoglievano nei loro salotti artisti e letterati di ogni genere (47): amava le arti e la letteratura (…) era impossibile essere annoiati in sua compagnia e sua figlia, Mme de Custine, era appassionata di pittura ed era in grado di eseguire copie perfette dei grandi maestri: riusciva a imitarne i colori e l'energia così accuratamente che quando un giorno andai nella sua stanza scambiai una delle sue copie per un originale (48).
Per Elisabeth era fondamentale e quasi naturale osservare, ascoltare e imparare, ovunque ella fosse, qualsiasi cosa che potesse attrarla o arricchire la sua sensibilità artistica. La sua curiosità manteneva il suo occhio sempre allertato, ogni stimolo visivo era per lei motivo di profonda ispirazione e non smetteva mai di accumulare immagini di ogni genere, usando la stessa attenzione nell’osservare un dipinto di Rubens, una persona, un paesaggio, una rappresentazione teatrale o una scena popolare. Nelle sue memorie dice addirittura che non si recava più alle funzioni religiose perché il modo in cui la luce del sole veniva filtrata dalle grandi vetrate, i fedeli riuniti, gli arredi creavano scorci così interessanti che distoglievano la sua attenzione dalla celebrazione della messa:
…non andavo regolarmente a messa, non era per mancanza di spirito religioso: ma nelle chiese di Parigi, dove c’è troppa gente, non mi sento abbastanza con Dio. Vi vedo colori, drappeggi, tante fisionomie dalle diverse espressioni, effetti di sole: insomma, poiché la pittura e il rumore mi inseguivano fin laggiù, non potevo pregare così bene come faccio in una chiesa di villaggio (49).
In ciò risuona la teoria di Rubens secondo cui si ricorda meglio ciò che si è attentamente osservato più di ciò che si è copiato disegnando. Alcuni pittori rimbrottarono il maestro fiammingo perché dat hy zoo weynich Italiaensche Schilderyen kopieerde, of nateikende, en alleen zijn dierbaren tijt met wandelen, kijken, en stilzitten doorbracht… (50). Rubens allora rispose pacifico: Ik geloof beeter onthowen te hebben ’t geen ik wel bezien hebbe, als gy, die ’t hebt nageteykent (51), dando subito prova della sua convinzione con una competizione in cui la sua memoria risultò infallibile (52).
I risultati di questo tipo di apprendimento multiforme e appassionato sono evidenti in tutta la carriera artistica di Elisabeth. Ella userà con grazia e grande capacità interpretativa i ricordi di tutte le immagini e di tutte le soluzioni tecniche imparate dai grandi maestri del passato. Non per caso nella maggioranza dei suoi dipinti è possibile trovare una posa o una particolare disposizione derivata da importanti opere più o meno famose, come vedremo in dettaglio più avanti.
Dopo la morte di Louis Vigée e prima che Jeanne Maissin si risposasse, la famiglia Vigée riusciva già a sostentarsi con gli introiti dei ritratti di Elisabeth (53). La pittrice, quindi, era già nota per le sue grandi capacità e dipingeva ormai da alcuni anni quando il 25 ottobre del 1774 diventò membro dell’Académie de Saint Luc e cominciò a esercitare ufficialmente la professione esponendo al Salon della gilda numerose opere. In quell’anno non solo ritrasse Mademoiselle de Robien, marchesa de Mirabeau che suona la chitarra ispirandosi a una composizione di Lely (54), ma palesò anche il suo più grande desiderio di essere considerata pittrice di storia e non semplice ritrattista esponendo al Salon tre allegorie (Poesia, Pittura, Musica). La stessa cosa farà con il suo morceau de reception all’Académie Royale dieci anni dopo, senza mai ottenere un titolo ufficiale di pittrice di storia.

  1. E. Vigée Le Brun, Souvenirs de Madame Louise Elisabeth Vigée Le Brun, 1835, 3 vols., Paris, Librairie de H. Fournier, vol.I, p.238, cit. in M. Sheriff, The Exceptional Woman: Elisabeth Vigée-Lebrun and the Cultural Politics of Art., University of Chicago Press, Chicago e Londra, 1996, p.271 (d'ora in poi SHERIFF, 1996).
  2. Elisabeth Vigée Le Brun, Souvenirs, 1835-37. Edizione italiana ridotta, Mursia, Milano, 1989, introduzione di B. Craveri, p.27 (d'ora in poi VIGÉE LE BRUN, 1835-37). Se non altrimenti specificato le informazioni generali sulla biografia della pittrice derivano da questo testo e da A. Goodden, The Sweetness of Life, A biography of Elisabeth Vigée Le Brun, André Deutsch Ltd., London, 1997 (GOODDEN, 1997).
  3. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.27.
  4. Per questa parte si veda H. MacFall, Vigée Le Brun, Masterpieces in Colour, Illustrated with eight painting reproductions, 1922, T.C. & E.C. Jack, Ltd. London and New York: Frederick A. Stokes, parzialmente riportato nel sito internet The Art of Elisabeth Louise Vigée Le Brun di Kevin J. Kelly di Tucson, Arizona.
  5. Gabriel François Doyen (1726-1806), pittore di storia allievo di Carle van Loo e protégé del duca di Choiseul. Dopo aver ottenuto nel 1746 il gran premio dell’Académie si recò a Roma nel 1748 dove lavorò con Natoire e successivamente soggiornò anche a Venezia, Bologna, Parma e Torino. Dopo essere entrato all'Académie il 5 agosto del 1758, l'anno successivo espose al Salon l'acclamato dipinto La morte della Vergine. La sua formazione da colorista lo portò anche ad Anversa e nel 1767 riportò un grande successo a Parigi con Le Miracle des Ardents, un robusto omaggio a Rubens. Nel 1791 partì per San Pietroburgo dove era stato chiamato da Caterina II. Qui fu professore all'Accademia imperiale, ebbe numerosi allievi e la corte gli commissionò varie decorazioni. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.178.
  6. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.29.
  7. Gabriel Briard (1725-1777), pittore di storia allievo di Carle Van Loo, aveva soggiornato a Roma, era un apprezzato decoratore e un buon disegnatore, ma gli accademici ritenevano i suoi colori troppo carichi e privi di mezzitoni. Nel 1770, comunque, ottenne il titolo di professore aggiunto e, nello stesso anno, gli fu affidata dal marchese di Marigny la decorazione dell'Opéra e della sala del banchetto di Versailles. Al Louvre aveva un atelier e un appartamento a sua disposizione, dove dava lezioni private a giovani artisti, come la nostra pittrice e Mlle Bocquet.
  8. Davesne dipingeva ritratti e scene di genere, faceva parte dell'Accademia di San Luca ed era anche poeta.
  9. Joseph Vernet (Avignone,1714 - Parigi, 1789), ricercato paesaggista, era figlio di un decoratore di carrozze e iniziò gli studi nello studio di Rene Vialy ad Aix-en-Provence. Il Conte de Quinson gli pagò nel 1734 un viaggio a Roma, dove visse per vent'anni, durante i quali lavorò per Fergioni e Adrien Manglard, ispirandosi a Pannini, Locatelli, Lorrain, Dughet e Salvator Rosa. I suoi soggetti preferiti erano la campagna romana e le marine napoletane, colte soprattutto all'alba e al tramonto, o durante tempeste notturne illuminate dalla livida luce della luna. Nel 1745 divenne membro dell'Académie Royale di Parigi, dove tornò nel 1753. Luigi XV gli commissionò la famosa serie dei Porti di Francia (oggi al Musée de la Marine di Parigi). Era molto amato da collezionisti e critici: persino Diderot lo osannava. Vernet conobbe Elisabeth quand'era ancora una bambina e, dopo la morte dell'amico Vigée, fu per lei un secondo padre e un maestro riservato. La piccola artista ricambiò le sue affettuose attenzioni prima copiando due suoi paesaggi con figure: Donna che attinge acqua da un pozzo e Marinaio che spinge la sua barca verso la spiaggia (delle due opere si sa solo che nel 1778 furono vendute a un'asta di Madame de Cossé, non è nemmeno chiaro se fossero a pastello o ad olio) e successivamente facendogli un ritratto nel 1778 (olio su tela, 92 x 72 cm, Parigi, Musée du Louvre, firmato e datato in basso a destra: Mde Le Brun f. 1778, esposto nel 1783 al Salon de la Correspondance durante una retrospettiva del paesaggista).
  10. Louis Vigée aveva inghiottito una lisca di pesce che gli si era conficcata nello stomaco. Fra’ Come, uno dei più illustri chirurghi dell’epoca tentò di salvarlo con numerose operazioni, ma proprio queste gli furono fatali, poiché le ferite si infettarono. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.30.
  11. Rosalie Bocquet, più o meno coetanea di Elisabeth, aveva alle spalle due generazioni di pittori: il nonno era peintre du roi, il padre era pittore di feste e avvenimenti. Baillio (1988, p.102), senza particolari spiegazioni, afferma che la madre di Rosalie aveva creato per la figlia una "académie féminine".
  12. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.30. L’insistenza della pittrice nelle sue memorie per questa predilezione per la pittura alla lampada negli anni della formazione, farebbe pensare a uno stile vicino a quello di De La Tour, ma nelle opere giovanili che ci sono pervenute non vi è traccia alcuna di questa maniera "oscura" di dipingere.
  13. Cfr. la nota 9 di questo capitolo e Elisabeth Louise Vigée Le Brun (1755-1842), catalogo della mostra a cura di J. Baillio, Fort Worth, Texas, Kimbell Art Museum, 1982, p.39 (d’ora in poi BAILLIO, catalogo, 1982).
  14. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.31.
  15. Il duca di Choiseul (1719-1785) fu ministro di Luigi XV ed ebbe modo di viaggiare molto in tutta Europa (fu nelle Fiandre nel 1746, nel 1753 in Italia e a Vienna nel 1758), acquisendo uno spirito e un gusto cosmopoliti. Iniziò a formare la sua collezione nel 1750 (anno in cui sposò la nipote di Antoine Crozat) e continuò a fare acquisti per una ventina di anni, finché non cominciò ad avere seri problemi economici e dovette vendere tutti i suoi averi in varie aste tra il 1772 e il 1786. Inizialmente alloggiò all’hôtel di rue de Richelieu, già dimora di Pierre Crozat, e successivamente si fece costruire il grandioso castello di Chanteloup. La sua collezione era formata principalmente da opere fiamminghe e olandesi e fra le opere di maggior spicco vi erano otto Rembrandt, fra cui Il Filosofo in meditazione, il Filosofo in contemplazione e un Autoritratto con berretto di velluto e catena d’oro acquistati alla vendita del conte de Vence e oggi al Louvre. Tutte le informazioni sulla collezione e la vita del duca di Choiseul sono derivate da B. Scott The duc de Choiseul, a Minister in the Grand Manner, in "Apollo", 1973, CVII, July-September, pp.42-53 e da S. Jugie, La collection d'Etienne-François, comte de Stainville, duc de Choiseul, in L'Age d'or flamand et hollandais, Collections de Catherine II, Musée de l'Ermitage, Saint Petersburg, Dijon, Musée des Beaux-Arts, Septembre 1993, pp.57-64. Si veda inoltre il  capitolo VII, p.74 e segg.
  16. Come è noto buona parte dei dipinti (circa 500) furono acquistati da Caterina II di Russia. Tutte le informazioni sulla collezione Crozat vengono da B. Scott, Pierre Crozat, A Maecenas of the Régence, in "Apollo", 1973, vol.XCVII, n.131, January, pp.11-19; M. Stuffmann, Le Tableaux de la Collection de Pierre Crozat, in "Gazette des Beaux-Arts", 110e année, 1968, July-Septembre, p.11-143; H. Meyer, La collection de Louis-Antoine Crozat, baron de Thiers, in L'Age d'or flamand et hollandais, Collections de Catherine II, Musée de l'Ermitage, Saint Petersburg, Dijon, Musée des Beaux-Arts, Septembre 1993, pp.49-56.
  17. A questo proposito si vedano gli approfondimenti sulla collezione e sulle opere della Vigée Le Brun influenzate dai dipinti ivi presenti nei Capitoli  VII VIII.
  18. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.31.
  19. Nella collezione di Rendon de Boisset vi erano moltissime opere fiamminghe e olandesi, in parte provenienti da quella di Pierre-Jean Mariette (1694-1774) che possedeva numerosi disegni di Rubens (disegno per Il giardino d’amore), 400 incisioni di Rembrandt e una copia dell’Iconographie di van Dyck (500 ritratti incisi, più otto dei disegni preparatori delle incisioni, fra cui il Ritratto di Jacomo de Cachiopin). Informazioni da B. Scott, Pierre-Jeanne Mariette, Scholar and Connoisseur, in "Apollo", 1973, vol.XCVII, n.131, January, pp.54-59, si veda anche P. Remy, Catalogue de tableaux et dessins précieux des maitres célèbres des trois écoles… du cabinet de feu M. Randon de Boisset, Paris, 1777.
  20. Questo particolare non va trascurato: infatti, non solo è nota la predilezione di questo collezionista per gli autori nordici, ma, curiosamente, un ritratto del banchiere fiammingo eseguito da van Dyck e posseduto da Pierre Crozat, ha qualche congruenza con il ritratto del Conte Maurice de Fries, dipinto da Elisabeth durante il suo soggiorno viennese. Si vedano a tale proposito la scheda n.10 e il  Capitolo VIII, p.95 e segg..
  21. Abel-François Poisson, marchese di Marigny, come direttore generale dei Bâtiments reali dal 1751 al 1773, aveva recentemente restaurato i dipinti di Rubens e nel 1766 aveva istituito una guardia svizzera permanente affinché la galleria potesse essere visitata ogni giorno, con l’intenzione di aiutare la formazione artistica di giovani pittori. Il marchese possedeva inoltre una ricca collezione con una sezione di pregevoli dipinti fiamminghi e olandesi, con opere di Berchem, Rachel Ruysch, van Huysum, Metsu (Uomo che suona il violoncello, olio su tela, 62 x 48 cm, H. M. the Queen Elisabeth II) e Ter Borch (Dama che suona la tiorba, olio su tela, 32 x 34 cm, New York, Metropolitan Museum of Art). B. Scott, The Marquis de Marigny, A Dispenser of Royal patronage, in "Apollo", 1973, vol.XCVII, n.131, January, pp.25-35.
  22. Ad esempio, La Pace che riporta l’Abbondanza (Fig.4a), morceau de reception per l’Académie, dipinto nel 1780 e la Baccante del 1785 (Fig.5a) sono derivazioni dirette da brani del ciclo mediceo (si vedano le schede n.4-n.5 e il  Capitolo VIII).
  23. Per ottenere il permesso di accedere alle gallerie d'arte e di lavorarci [Elisabeth Vigée-Le Brun] fu costretta a conquistare grandi personaggi che intervenissero a suo favore, e più tardi ancora ebbe bisogno dei grandi personaggi per avere clienti dell'alta società per i suoi ritratti. Per sua fortuna aveva un aspetto attraente fin da giovanissima e l’avventato matrimonio con un libertino non ne diminuì certo il fascino. G. Greer, Le tele di Penelope, le donne e la pittura attraverso i secoli, Milano, Bompiani, 1980, p.95, d'ora in poi GREER, 1980.
  24. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.32. Vedremo subito come in questo passo la pittrice abbia utilizzato una terminologia propria della teoria classica dell'imitazione.
  25. Citazioni dai Souvenirs, da BAILLIO, Vigée Le Brun and the Classical Practice of Imitation, Papers in Art History from the Pennsylvania State University, IV, Edited by George Mauner et al., 1988, p.96.
  26. Lettera I, libro XI: …conditura et dispositione in hanc qualitatem verti, quae ex tenerrisimis virentium florentiumque decerpserint, non sine quodam, ut ita dicam, fermento, quo in unum diversa coalescunt. (…) …nos quoque has apes debemus imitari et quaecumque ex diversa lectione congessimus, separare, (…) deinde adhibita ingenii nostri cura et facultate in unum saporem varia illa libamneta confundere, ut etiam si apparuerit, unde sumptum sit, aliud tamen esse quam unde sumptum est appareat (… ciò che le api suggono dalle erbe più tenere e dai più teneri fiori, si trasformi in miele quando venga preparato e disposto in maniera acconcia e vi si aggiunga per così dire una specie di lievito per cui sostanze diverse si fondono in una sola […] anche noi dobbiamo imitare le api, dobbiamo cioè dapprima ben distinguere le cose che abbiamo messe insieme con diverse letture […] e poi mettendo in atto con viva diligenza la capacità del nostro ingegno fondere in un unico sapore le diverse libazioni, in modo che se anche appaia qual è la fonte a cui abbiamo attinto, appaia anche che il nostro scritto ha una sua originalità indipendente dalle fonti), B. Giuliano, Seneca, Lettere a Lucilio, libri VII-XIV, Bologna, Zanichelli, 1983, pp.246-248. A questo proposito e per i successivi riferimenti a Quintiliano e Rubens si veda l'articolo di J. M. Muller, Rubens's Theory and Practice of the Imitation of Art, in "Art Bulletin", 1982, vol.LXIV, n.2, pp. 229-247.
  27. "E che dunque? Non si vedrà l'autore di cui tu imiti lo stile e il ragionamento da cui tu attingi le idee?" Secondo me, può benissimo darsi che questo non si veda affatto, se un uomo di grande ingegno è riuscito ad imprimere nelle cose che ha ricavato da qualsiasi esemplare una sua forma originale così che si accordino in armonica unità. Ibidem, p. 250-51.
  28. Neque enim dubitari potest quin artis pars magna contineatur imitatione. (…) Atque omnis vitae ratio sic constat, ut, quae probamus in aliis, facere ipsi velimus. Sic (…) pictores [intuentur] opera priorum. (Non si può dubitare del fatto che gran parte dell'arte consista nell'imitazione (…) Ed è un principio universale della vita il fatto che desideriamo fare noi stessi quello che approviamo negli altri (…) così (…) i pittori [guardano] alle opere dei loro predecessori). C. M. Calcante, Quintiliano, La formazione dell'oratore, 3voll., Milano, BUR, 1997, Vol. 3, libri IX-XII, libro X, II, pp.1714-15.
  29. …in relazione a questa parte degli studi, bisogna esaminare ogni aspetto con un discernimento scrupolosissimo. In primo luogo bisogna considerare chi dobbiamo prendere a modello (…) poi nell'ambito degli autori che abbiamo scelto, bisogna definire che cosa ci apprestiamo a riprodurre. Ibidem, pp. 1718-21.
  30. Fra gli italiani, a parte Vasari, sono da citare almeno Varchi, Lomazzo, Dolce e, per gli anni successivi Agucchi, Armenini, Carracci e Zuccaro. Fra gli stranieri, che saranno poi alla base delle teorie rubensiane, ricordiamo Lampsonius e Otto van Veen. Per questo argomento troppo vasto da trattare in questa sede e per una più ampia bibliografia si rimanda ai due testi fondamentali di P. Barocchi, Scritti d'arte del Cinquecento, 3 voll., Torino, 1978 e di J. Schlösser-Magnino, La letteratura artistica, manuale delle fonti della storia dell'arte moderna, La Nuova Italia editrice, Firenze, 1977, all'articolo di MULLER (1982) e all'intervento di C. Limentani Virdis, Lo specchio magico di Rubens: il colore e la seduzione, in Pietro Paolo Rubens (1577-1640), catalogo della mostra a cura di D. BODART, Padova, Palazzo della Ragione, 25 Marzo-31 Maggio 1990, De Luca Edizioni d'Arte, Padova, 1990, pp.29-34.
  31. Cfr. M. D. Sheriff, Invention, Resemblance, and Fragonard's Portaits de Fantaisie, in "Art Bulletin", 1987, LXIX, n. 3, September, pp.79 e 83.
  32. A. Mérot, Les Conférences de peinture et de sculpture au XVIIe siècle, École nationale supérieure des Beaux-Arts, Paris, 1996, pp.224-228.
  33. Quintilien, un des plus excellents rhétoriciens de l’antiquité, montre que dans tous les arts l’invention est toujours la principale partie, et il décide la question contre les imitateurs et les copistes par des preuves tirées de la peinture même. Ibidem, p.227.
  34. Ils s’arrêtent servilement à copier la manière particulière d’un auteur, se proposant comme leur but et comme l’unique modele qu’ils doivent consulter. Ils jugent par ce seul auteur la manière de tous les autres et ils n’ont point d’autres yeux pour faire le discernement des beautés et des divers agréments que la nature nous propose à imiter. /Cette inclination se peut pardonner à un jeune étudiant qui est encore sous l’aile du maître…Ibidem, p.225.
  35. qu’ils devraient prendre ce qu’il y a de plus beau dans toutes les manières particulières et se former, a l’imitation des abeilles, un suc, c’est-à-dire une beauté qui leur fut propre. Ibidem, pp.225-26.
  36. Ibidem, pp.395-519.
  37. C’est ainsi que, dépouillé de prévention, l’on pourra sur les grands maîtres tirer des principes certains de son art, sans cependant les imiter servilement. Ibidem, p.417.
  38. Un génie élevé doit avoir la noble émulation de tâcher d’égaler le plus grands hommes de l’antiquité; et c’est un grand avantage pour nous qu’ils nous aient tracé les chemins par lesquels on peut arriver jusqu’a eux; sachons donc profiter du bonheur de pouvoir recueillir nous-mêmes le fruit de leurs travaux. Ibidem, p.416. Anche Sir Josuha Reynolds (di cui avremo modo di parlare successivamente) nei suoi discorsi sull'arte considera fondamentale l'imitazione nella formazione artistica di un pittore: I am (…) persuaded, that by imitation only, variety, and even originality of invention, is produced. I will go further; even genius, at least what generally is so called, is the child of imitation. (R. R. Wark, J. Reynolds, Discourses on Art, New Haven and London, 1981, p. 96, citato da BAILLIO, 1988, p. 101).
  39. Cfr. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, pp.38-39 e Capitoli II e IX.
  40. Samuel van Hoogstraeten, Inleyding tot de hooge schoole der Schilderkonst: anders de zichtbare Werelt. Verdeelt in negen Leerwinkels yder bestiert door eene der zang-godinnen (repr. of 1678 ed.), Soest, 1969 (la prima edizione fu stampata a Middelberg nel 1641), citato e tradotto in MULLER, 1982, pp.244-45. Hoogstraeten, nel suo trattato, emphasized the necessity of equalling or surpassing that from which one borrows (MULLER, 1982, p. 244). Nel caso di Rubens afferma che indienge by geval iets uit de outheit neemt, zoo dient de rest van uw werk het geleende gelijk te zijn, of liever in deugt te overtreffen. Rubens wiert van eenige zijner tegenstribbelaers gehekelt, dat hy geheele beelden uit d’Italiaenen ontleende ...: maer deeze groote geest dit vernemende, gaf tot antwoort: zy mochten ’t hem vryelijk naedoen, indien zy’er voordeel inzagen. Hier meede te kennen gevende, dat yder een niet bequaem en was zich van dat voordeel te dienen (Quando uno prende qualcosa in prestito dagli antichi, allora il resto della sua opera dev'essere uguale all'originale o, ancor meglio, dev'essere migliore. Rubens veniva criticato da alcuni suoi avversari perché prendeva in prestito immagini dagli italiani…: ma quando questo grande spirito seppe ciò che si diceva di lui, rispose: erano liberissimi di fare altrettanto, se lo ritenevano vantaggioso. Con questo dava a intendere che non tutti erano capaci di servirsi di questo tipo di vantaggio). L'originale è in MULLER, 1982, p. 244, per la traduzione ringrazio vivamente la dottoressa Marlene Maertens per il prezioso aiuto.
  41. Un pittore dovrebbe, come un'ape laboriosa che vola di fiore in fiore e ne succhia solo il miele, estrarre tutto ciò che vi è di utile negli esempi altrui. Copiare tutto è cosa troppo servile, e persino impossibile. HOOGSTRAETEN, 1969, pp. 194-95, in MULLER, 1982, p.245, mia traduzione dalla sua inglese.
  42. In R. De Piles, Cours de peinture par principes, Paris, 1708.
  43. DE PILES, 1708, p. 139, citato in MULLER, 1982, p. 230.
  44. L. Strachey, The Memoirs of Madame Vigee Le Brun, English translation of "Souvenirs", George Braziller Inc., New York, 1989 (d'ora in poi STRACHEY, 1989), p. 324, mia traduzione dall'inglese.
  45. Ibidem, p.324, mia traduzione dall'inglese. Di Charlotte Eustache Sophie Faligny de Damas Marchesa de Grollier (1742-1828) la Vigée Le Brun non fece solo un ritratto scritto, ma anche uno a olio su tavola nel 1787-88, 92 x 72 cm, oggi nella collezione del Conte Jean-François de Roussy de Sales, nello Château de Thorens, a Thorens-Glieres.
  46. Anche della contessa de Sabran et Pontevres la pittrice fece un ritratto, un olio su tela ovale, 52 x 39 cm, del 1786, oggi a Berlino nello Schlöß Charlottenburg.
  47. Un salotto più legato alla letteratura contemporanea, ma ricco comunque di interessanti spunti, era quello di Mme de La Reyniére. Fra i suoi frequentatori la pittrice ricorda l'Abbé Barthelemy, autore del Voyage du jeune Anacharsis, e un folto gruppo di musicisti: Sacchini, Piccini, Garat, Richer. STRACHEY, 1989, pp. 321-22.
  48. Ibidem, p.344-45, mia traduzione dall'inglese.
  49. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.98.
  50. Copiava e disegnava da pochissimi dipinti italiani e passava il suo tempo prezioso a gironzolare, guardandosi intorno, o rimaneva seduto tranquillo... HOOGSTRAETEN, 1969, p. 194, citato in MULLER, 1982, p.245, mia traduzione dalla sua inglese.
  51. Sono certo di ricordare meglio io ciò che ho solo osservato, che voi ciò che avete disegnato. HOOGSTRAETEN, 1969, pp. 194-95, citato in MULLER, 1982, p.245, mia traduzione dalla sua inglese.
  52. Si veda MULLER, p.245.
  53. Mio padre non aveva lasciato ricchezze; a dir il vero, guadagnavo già molto, perché avevo da fare molti ritratti. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p. 32.
  54. Si veda la scheda n.1, Figg.1a/b. È anche interessante notare che in quel periodo esisteva almeno una copia anonima della Suonatrice di chitarra di Vermeer (olio su tela, 53 x 46,3 cm, Kenwood House, Iveagh Bequest, Fig.1c), anche se non è chiara la sua esatta ubicazione. Se la pittrice avesse visto l’opera e l'avesse usata come ulteriore fonte di ispirazione sarebbe segno di un precoce e autonomo interessamento di Elisabeth a questo maestro olandese riscoperto, poi, proprio da Jean Baptiste Pierre Le Brun. Ma tutto ciò rimane solo una allettante ipotesi. Un tramite con la cultura neerlandese, in questo caso, potrebbe essere anche la Marchesa di Bezons di Greuze del 1759 (Fig.1d).