CAPITOLO I
1755-1774: Mademoiselle
Vigée
…peindre
et vivre n’a jamais été qu’un seul et meme mot pour moi, et j’ai bien souvent
rendu graces a la Providence de m’avoir donné cette vue excellente… (1)
Louise
Elisabeth Vigée Le Brun nacque a Parigi, in rue Coquillière il 16 aprile
del 1755. Per una curiosa coincidenza, nello stesso anno, a Vienna, nacque
anche colei che in futuro l’avrebbe voluta come ritrattista ufficiale e le
avrebbe assicurato l’ingresso all’Académie Royale: Maria
Antonietta, futura regina di Francia.
La madre di Elisabeth, Jeanne
Maissin, era una parrucchiera, mentre il padre, Louis Vigée, era un discreto
ritrattista. A tre mesi la bambina fu affidata a una balia di Epernon, vicino a
Chartres, dove rimase fino all’età di 5 anni. Nel 1760 iniziò l’educandato
nella scuola del convento della Trinità in rue de Charonne, a Parigi, e vi
rimase stabilmente per sette lunghi anni dimostrando già un precocissimo
talento artistico:
Durante questo periodo di
tempo, facevo molti abbozzi, continuamente e dappertutto; i quaderni sui quali
scrivevo, e anche quelli delle mie compagne, avevano il margine pieno di
testoline, di faccia o di profilo; sui muri del dormitorio, tracciavo a
carboncino visi o paesaggi: pensi dunque quanto spesso fossi messa in castigo!
Nei momenti di ricreazione, poi, disegnavo sulla sabbia tutto quello che mi
passava per la mente. (2)
Dopo aver finito gli studi la
piccola pittrice poté tornare in seno alla sua famiglia. Il padre, al quale
ella era molto legata, fu il suo primo, fondamentale contatto con il mondo
dell’arte e la fece partecipare alle lezioni di disegno che si tenevano nel suo
atelier, incoraggiando la passione della figlia.
Mi ricordo che a sette o otto
anni disegnai a luce di lampada un uomo con la barba, che ho da sempre
conservato. Lo feci vedere a mio padre che, in un trasporto di gioia, esclamò:
"Sarai pittrice, bambina mia, o nessun altro mai lo sarà!" (3)
Louis Vigée era un buon
ritrattista. Eseguiva soprattutto lavori a pastello sulla scia di La Tour, ma anche
olii di pregevole qualità, con uno stile simile a quello di Watteau. La sua
bottega era frequentata da un buon numero di allievi, ma le sue lezioni non
potevano rappresentare una preparazione artistica adeguata per la figlia, che
era evidentemente destinata ad avere un successo di gran lunga superiore
rispetto a quello del padre (4). Nei confronti di Elisabeth il suo merito
principale è stato sicuramente quello di averla fatta partecipare alle riunioni
di artisti che si tenevano nella sua casa mettendola precocemente in contatto
con quei personaggi che l’avrebbero aiutata a diventare una delle ritrattiste
più ricercate nell’Europa del Settecento e dell’Ottocento.
A quel tempo, mio padre riuniva
alla sera parecchi artisti e alcuni letterati. Capolista di tutti metterei
Doyen (5) (…) parlava con tanto calore della pittura da farmi venire il
batticuore. (6)
Oltre a Doyen, vi erano Briard
(7), Davesne (8) – quest'ultimo volle insegnare alla bambina come si prepara la
tavolozza – e Joseph Vernet (9), che sarà il suo tutore e massimo ispiratore
dopo la morte di Louis Vigée. Il 9 maggio 1768 Elisabeth rimase orfana del
padre, morto per una grave infezione (10). Il dolore per la grave perdita fu
tale che la piccola smise di disegnare e dipingere, ma Doyen e Vernet
riuscirono, con le loro affettuose insistenze, a farle riprendere in mano
matite e pennelli.
Insieme a Mademoiselle Rosalie
Bocquet (11) andava al Louvre, da Briard, per copiare disegni e calchi, poi, la
sera, andava a casa della giovane amica, il cui padre aveva una bottega di
antichità a Saint Denis, a dipingere il più sovente alla lampada (12).
Iniziò anche a dipingere dal vero usando come modelli i componenti della sua
famiglia: il fratello Etienne, la madre e il patrigno Le Sevre, che nel
frattempo aveva preso il posto del padre. Copiava anche opere a olio degli
amici del padre: sono di questi anni due copie di paesaggi di Vernet (Donna
che attinge acqua da un pozzo e Marinaio che spinge la sua barca verso
la spiaggia (13) ). E fu proprio Joseph Vernet a darle il consiglio che
segnerà per sempre lo stile della pittrice:
Non segua nessun sistema di
scuola. Consulti solo le opere dei grandi maestri italiani e fiamminghi; ma
lavori soprattutto il più possibile dal vero: la natura è il primo di tutti i
maestri. Se lei la studierà con cura, eviterà di limitarsi a una sola maniera.
(14)
Vernet e Greuze le aprirono le
porte delle collezioni del marchese di Lévis, del marchese Harens de Presle e
del duca de Choiseul-Praslin.
Ho ragione di credere che la collezione
del duca de Choiseul-Praslin, altro non sia che quella di Etienne-François de
Choiseul-Stainville (15), che divenne poi duca di Choiseul, infatti le opere in
suo possesso sono analoghe, per autori (Wouwermans, Berchem, Ruisdael, van der
Werff, Metsu, Ter Borch, Dou e Teniers) e soggetti (paesaggi, scene di genere o
intimiste), a quelle di altre collezioni che la pittrice frequentava
assiduamente. Inoltre spesso nei Souvenirs si trovano riferimenti
parzialmente errati a nomi e titoli nobiliari, o una ortografia differente
dall’odierna, pertanto anche l'indicazione parziale dovrebbe essere sufficiente
per l'identificazione.
Nel 1771 morì Louis Antoine
Crozat, Barone de Thiers, e nel gennaio dell’anno successivo la collezione fu
venduta(16). Il barone teneva la sua eccezionale collezione nella casa di place
Vendôme e consentiva spesso l’accesso alle sale a vari artisti e curiosi.
Gabriel de Saint-Aubain ne aveva anche illustrto un catalogo con cento disegni
a penna. È facile pensare che la pittrice avesse avuto il permesso di visitare
la collezione ricca di opere dei suoi maggiori ispiratori: Rubens, Rembrandt e
van Dyck. Infatti, molte opere di Elisabeth antecedenti al suo soggiorno a San
Pietroburgo (1795-1801) presentano chiare allusioni a dipinti presenti nella
collezione Crozat-Thiers (17).
Anche la madre, Jeanne Maissin,
contribuì alla formazione della giovane artista, poiché, vedendola così
addolorata per la perdita crudele che avevo subita [la morte del padre],
non trovò di meglio, per distrarmene, che portarmi a vedere dei quadri (18),
e la condusse a visitare la collezione di Rendon de Boisset (19), quella del Palais
Royal e il Palace du Louxembourg, che traboccavano di quegli esempi
di grandi maestri che ella avrebbe seguito per tutta la vita. In particolare,
al Palais Royale, vi erano ben 5500 disegni della collezione di Everard
Jabach (1607-1695), fra cui figuravano numerose opere fiamminghe (20) e al Palace
du Louxembourg ammirò e copiò con bramosa attenzione vari brani del ciclo
mediceo di Rubens, opera fondamentale per la formazione della piccola Elisabeth
(21), come si potrà notare in più di una sua opera (22).
La pittrice, quasi ottantenne,
ricorda con trasporto nelle sue memorie l’effetto che ebbero su di lei quelle
visite (che, nel caso di collezioni private, erano frutto di amicizia e di
stima, non di intrighi galanti come insinua riduttivamente la Greer (23)):
Appena entravo in una di quelle
ricche gallerie, potevo proprio essere paragonata a un’ape, tante erano le
nozioni che vi raccoglievo e i ricordi utili alla mia arte, inebriandomi della
contemplazione dei grandi maestri. Inoltre, per perfezionarmi, copiavo alcuni
quadri di Rubens, alcune teste di Rembrandt, di Van Dyck, e parecchie teste di
giovinetti di Greuze, perché proprio queste ultime mi insegnavano efficacemente
le mezzetinte caratteristiche delle carnagioni delicate: anche Van Dyck le
insegna, ancor più finemente. A questo lavoro devo lo studio tanto importante
dell’affievolirsi delle luci sulle parti prominenti di una testa, sfumatura che
ho tanto ammirata nelle teste di Raffaello, le quali davvero comprendono ogni
perfezione (24).
Di queste copie la pittrice fa
menzione nella sua lista di opere alla fine dei Souvenirs (Numerose
teste e copie da Raffaello, Van Dyck, Rembrandt, ecc...) e si sa che sono
state esposte all’Académie de Saint Luc nel 1774, ma purtroppo non se ne
hanno più notizie.
Nel passo dei Souvenirs
appena citato sono stati messi in evidenza tre particolari: la metafora
dell'ape - me comparer à l'abeille -, l'importanza della memoria -de
souvenirs utiles à mon art- e il concetto di inebriamento -tout en
m'enivrant de jouissances- (25).
La metafora dell'ape ha origini
lontanissime e una levatura culturale che appare quasi fuori luogo nelle
memorie di Elisabeth, che sottolinea spesso la sua ridottissima istruzione e la
sua poca dimestichezza con i libri: questo esempio naturalistico è al centro di
un'epistola di Seneca a Lucilio, in cui si sottolinea l'importanza di attingere
da fonti diverse per ottenere un miglior risultato personale (26). Seneca
spiega a Lucilio che come le api bisogna scegliere il meglio fra ciò che
abbiamo a disposizione e poi utilizzare le nozioni acquisite per creare
qualcosa di originale. Quid ergo? non intellegetur, cuius imiteris orationem?
cuius argumentationem? cuius sententias? Obietta l'allievo. Puto
aliquando ne intellegi quidem posse, si magni vir ingenii omibus, quae ex quo
velut exemplari traxit, formam suam inpressit, ut in unitatem illa conpetant
(27). Risponde il maestro. Lo stesso concetto di imitazione selettiva, riferito
più precisamente all'arte pittorica, ritorna nell'Institutio Oratoria
di Quintiliano (28), che sottolinea in modo preciso l'atteggiamento da assumere
nei confronti dei modelli del passato: exactissimo iudicio circa hanc partem
studiorum examinanda sunt omnia. Primum, quos imitemur (…) tum in ipsis
quos elegerimus quid sit <ad quos nos efficiendum comparemus (29).
Il Rinascimento fece propri
questi principi e li sviluppò nella teoria dell'imitatio, che era
ritenuta fondamentale per l'evoluzione dello stile di ogni pittore, per cui era
necessario imitare i classici che già avevano raggiunto la perfezione.
Fondamentale, comunque, per tutti i teorici del Cinquecento che parlarono di
questo argomento (30), è l'impegno, non solo di prendere a modello gli antichi,
ma di superarli, per non diventare semplici copisti: questo concetto sarà
ripreso anche in Francia nel 1765 da Michel Dandré-Bardon, professore all'École
Royale (31), nel suo Traité de Peinture.
Sin dal Seicento si impose all'Académie
la figura del savant peintre, erudito in opere antiche, fra cui quelle
di Quintiliano e Seneca, ma anche di Luciano, Plinio, Orazio, Aristotele,
Euripide e di altri autori classici che scrissero pagine dedicate all'arte. Fra
i tanti discorsi della fine del Seicento e dell'inizio del Settecento sono
esemplari il Contre les copistes des manières dell'undici giugno del
1672 di Philippe de Champaigne (32), in cui il pittore, oltre a citare
Quintiliano (33), mette in guardia i giovani allievi dalla copie servile di
una manière particulière (34) e cita l'esempio delle api (35), e i Discours
sur la peinture (1708-1721) di Antoine Coypel (36), che come il suo collega
mette in guardia dal servilismo dell'imitazione (37) e in più sottolinea
l'importanza di guardare al passato per un miglior progresso dell'arte nel
presente (38).
Dal 1775 ad Elisabeth fu concesso
di partecipare alle assemblee settimanali dell'Académie Royale (39), dove
potrebbe aver sentito discorsi simili sull'imitazione.
Per quanto riguarda Elisabeth è
ancor più interessante notare che le stesse argomentazioni furono trattate da
Rubens nel taccuino in cui prese nota delle sue teorie artistiche. Nel 1773 a
Parigi fu pubblicata la prima edizione a stampa del manoscritto rubensiano,
tradotto in francese da Charles-Antoine Jombert. È impossibile pensare che la
Vigée Le Brun non abbia avuto fra le mani la Théorie de la figure humaine,
considérée dans ses principes, soit en repos ou en mouvement, il testamento
spirituale di Rubens -per di più tradotto nella sua lingua-, dalle cui pagine
la voce del maestro che aveva scelto di imitare le consigliava di copiare senza
posa i migliori artisti e di attingere dalle loro opere tutto ciò che poteva
giovare alla sua arte. In un altro testo (40), che la Vigée Le Brun forse non
conosceva direttamente, ma che all'epoca era comunque molto noto, è lo stesso
Rubens che cita l'esempio delle api per spiegare la sua teoria sull'imitazione:
Een Schildergeest mach als een
nutte Bye, die op allerley bloemen vliegt, maer niet dan honich zuigt,
ook allerley nutticheit uit de voorbeelden van andre trekken. Alles na te
teykenen is te slaefs, jae onmooglijk (41).
Anche il concetto di
inebriamento comporta un rapporto con Rubens, che, in De Imitatione
Statuarum, una sezione del suo taccuino pubblicata da Roger de Piles nel
1708 (42) e quindi disponibile per Elisabeth, dice che per ben assimilare le
opere dell'antichità esse necessariam (…) imo imbibitionem (43).
Come si è già detto l'educazione
scolastico-accademica di Elisabeth fu piuttosto scarsa, per non dire
inesistente. Le nozioni fondamentali per la sua evoluzione artistica le
arrivarono dalle più svariate fonti. Le teorie artistiche rinascimentali
potevano essere state oggetto delle conversazioni dei pittori che si riunivano
presso la casa di Louis Vigée. Di Seneca e Quintiliano, invece, Elisabeth, che
non conosceva il latino, poteva aver sentito parlare nei circoli più eruditi
della capitale francese. Nelle sue memorie, la Vigée Le Brun, sottolinea spesso
che molte delle nobildonne che frequentava assiduamente possedevano una cultura
superiore alla media, pur rimanendo delle squisite intrattenitrici:
La marchesa De Grollier (…)
conosceva il latino e il greco ed era estremamente erudita sui maggiori artisti
classici (…) durante i miei primi anni di matrimonio (…) preferivo le piccole
riunioni che si svolgevano presso la casa della marchesa De Grollier alle altre
così affollate; a volte ebbi persino il privilegio di passare l'intera serata
sola con lei. La sua conversazione era sempre vivace e ricca di idee, piena di
spirito… (44) La nobildonna era una pittrice di nature morte e prediligeva
composizioni floreali alla maniera di van Spaendonck e, quando parlava di
pittura, come per ogni altro argomento, era molto affascinante; in effetti, non
ho mai lasciato il salotto di Mme de Grollier senza aver imparato qualcosa di
interessante ed istruttivo (45).
Anche la contessa De Sabran (46)
era una di quelle femmes savants che accoglievano nei loro salotti
artisti e letterati di ogni genere (47): amava le arti e la letteratura (…)
era impossibile essere annoiati in sua compagnia e sua figlia, Mme de
Custine, era appassionata di pittura ed era in grado di eseguire copie perfette
dei grandi maestri: riusciva a imitarne i colori e l'energia così accuratamente
che quando un giorno andai nella sua stanza scambiai una delle sue copie per un
originale (48).
Per Elisabeth era fondamentale e
quasi naturale osservare, ascoltare e imparare, ovunque ella fosse, qualsiasi
cosa che potesse attrarla o arricchire la sua sensibilità artistica. La sua
curiosità manteneva il suo occhio sempre allertato, ogni stimolo visivo era per
lei motivo di profonda ispirazione e non smetteva mai di accumulare immagini di
ogni genere, usando la stessa attenzione nell’osservare un dipinto di Rubens,
una persona, un paesaggio, una rappresentazione teatrale o una scena popolare.
Nelle sue memorie dice addirittura che non si recava più alle funzioni
religiose perché il modo in cui la luce del sole veniva filtrata dalle grandi
vetrate, i fedeli riuniti, gli arredi creavano scorci così interessanti che
distoglievano la sua attenzione dalla celebrazione della messa:
…non andavo regolarmente a
messa, non era per mancanza di spirito religioso: ma nelle chiese di Parigi,
dove c’è troppa gente, non mi sento abbastanza con Dio. Vi vedo colori,
drappeggi, tante fisionomie dalle diverse espressioni, effetti di sole:
insomma, poiché la pittura e il rumore mi inseguivano fin laggiù, non potevo
pregare così bene come faccio in una chiesa di villaggio (49).
In ciò risuona la teoria di Rubens
secondo cui si ricorda meglio ciò che si è attentamente osservato più di ciò
che si è copiato disegnando. Alcuni pittori rimbrottarono il maestro fiammingo
perché dat hy zoo weynich Italiaensche Schilderyen kopieerde, of nateikende,
en alleen zijn dierbaren tijt met wandelen, kijken, en stilzitten doorbracht… (50).
Rubens allora rispose pacifico: Ik geloof beeter onthowen te hebben ’t geen
ik wel bezien hebbe, als gy, die ’t hebt nageteykent (51), dando subito
prova della sua convinzione con una competizione in cui la sua memoria risultò
infallibile (52).
I risultati di questo tipo di
apprendimento multiforme e appassionato sono evidenti in tutta la carriera
artistica di Elisabeth. Ella userà con grazia e grande capacità interpretativa
i ricordi di tutte le immagini e di tutte le soluzioni tecniche imparate dai
grandi maestri del passato. Non per caso nella maggioranza dei suoi dipinti è
possibile trovare una posa o una particolare disposizione derivata da
importanti opere più o meno famose, come vedremo in dettaglio più avanti.
Dopo la morte di Louis Vigée e
prima che Jeanne Maissin si risposasse, la famiglia Vigée riusciva già a
sostentarsi con gli introiti dei ritratti di Elisabeth (53). La
pittrice, quindi, era già nota per le sue grandi capacità e dipingeva ormai da
alcuni anni quando il 25 ottobre del 1774 diventò membro dell’Académie de
Saint Luc e cominciò a esercitare ufficialmente la professione esponendo
al Salon della gilda numerose opere. In quell’anno non solo ritrasse Mademoiselle de Robien, marchesa de Mirabeau che suona la
chitarra ispirandosi a una composizione di Lely (54), ma palesò anche
il suo più grande desiderio di essere considerata pittrice di storia e non
semplice ritrattista esponendo al Salon tre allegorie (Poesia,
Pittura, Musica). La stessa cosa farà con il suo morceau de reception
all’Académie Royale dieci anni dopo, senza mai ottenere un titolo
ufficiale di pittrice di storia.
- E. Vigée Le
Brun, Souvenirs de Madame Louise Elisabeth Vigée Le Brun, 1835, 3
vols., Paris, Librairie de H. Fournier, vol.I, p.238, cit. in M. Sheriff, The
Exceptional Woman: Elisabeth Vigée-Lebrun and the Cultural Politics
of Art., University of Chicago Press, Chicago e Londra, 1996, p.271
(d'ora in poi SHERIFF, 1996).
- Elisabeth
Vigée Le Brun, Souvenirs, 1835-37. Edizione italiana ridotta, Mursia, Milano, 1989,
introduzione di B. Craveri, p.27 (d'ora in poi VIGÉE LE BRUN, 1835-37). Se
non altrimenti specificato le informazioni generali sulla biografia della
pittrice derivano da questo testo e da A. Goodden, The Sweetness of
Life, A biography of Elisabeth Vigée Le Brun, André Deutsch Ltd.,
London, 1997 (GOODDEN, 1997).
- VIGÉE LE BRUN,
1835-37, p.27.
- Per questa
parte si veda H. MacFall, Vigée Le Brun, Masterpieces in Colour,
Illustrated with eight painting reproductions, 1922, T.C. & E.C.
Jack, Ltd. London and New York: Frederick A. Stokes, parzialmente
riportato nel sito internet The Art of Elisabeth Louise Vigée Le Brun
di Kevin J. Kelly di Tucson, Arizona.
- Gabriel François Doyen (1726-1806), pittore di storia
allievo di Carle van Loo e protégé del duca di Choiseul. Dopo aver
ottenuto nel 1746 il gran premio dell’Académie si recò a Roma nel
1748 dove lavorò con Natoire e successivamente soggiornò anche a Venezia,
Bologna, Parma e Torino. Dopo essere entrato all'Académie il 5
agosto del 1758, l'anno successivo espose al Salon l'acclamato dipinto
La morte della Vergine. La sua formazione da colorista lo portò
anche ad Anversa e nel 1767 riportò un grande successo a Parigi con Le
Miracle des Ardents, un robusto omaggio a Rubens. Nel 1791 partì per
San Pietroburgo dove era stato chiamato da Caterina II. Qui fu professore
all'Accademia imperiale, ebbe numerosi allievi e la corte gli commissionò
varie decorazioni. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, p.178.
- VIGÉE LE BRUN,
1835-37, p.29.
- Gabriel Briard (1725-1777), pittore di storia allievo
di Carle Van Loo, aveva soggiornato a Roma, era un apprezzato decoratore e
un buon disegnatore, ma gli accademici ritenevano i suoi colori troppo
carichi e privi di mezzitoni. Nel 1770, comunque, ottenne il titolo di
professore aggiunto e, nello stesso anno, gli fu affidata dal marchese di
Marigny la decorazione dell'Opéra e della sala del banchetto di
Versailles. Al Louvre aveva un atelier e un appartamento a sua
disposizione, dove dava lezioni private a giovani artisti, come la nostra
pittrice e Mlle Bocquet.
- Davesne dipingeva ritratti e scene di genere, faceva
parte dell'Accademia di San Luca ed era anche poeta.
- Joseph Vernet (Avignone,1714 - Parigi, 1789),
ricercato paesaggista, era figlio di un decoratore di carrozze e iniziò
gli studi nello studio di Rene Vialy ad Aix-en-Provence. Il Conte
de Quinson gli pagò nel 1734 un viaggio a Roma, dove visse per vent'anni,
durante i quali lavorò per Fergioni e Adrien Manglard, ispirandosi a
Pannini, Locatelli, Lorrain, Dughet e Salvator Rosa. I suoi soggetti
preferiti erano la campagna romana e le marine napoletane, colte
soprattutto all'alba e al tramonto, o durante tempeste notturne illuminate
dalla livida luce della luna. Nel 1745 divenne membro dell'Académie Royale
di Parigi, dove tornò nel 1753. Luigi XV gli commissionò la famosa serie
dei Porti di Francia (oggi al Musée de la Marine di Parigi). Era
molto amato da collezionisti e critici: persino Diderot lo osannava.
Vernet conobbe Elisabeth quand'era ancora una bambina e, dopo la morte
dell'amico Vigée, fu per lei un secondo padre e un maestro riservato. La
piccola artista ricambiò le sue affettuose attenzioni prima copiando due
suoi paesaggi con figure: Donna che attinge acqua da un pozzo e Marinaio
che spinge la sua barca verso la spiaggia (delle due opere si sa solo
che nel 1778 furono vendute a un'asta di Madame de Cossé, non è nemmeno
chiaro se fossero a pastello o ad olio) e successivamente facendogli un
ritratto nel 1778 (olio su tela, 92 x 72 cm, Parigi, Musée du Louvre,
firmato e datato in basso a destra: Mde Le Brun f. 1778, esposto
nel 1783 al Salon de la Correspondance durante una retrospettiva
del paesaggista).
- Louis Vigée aveva inghiottito una lisca di pesce che
gli si era conficcata nello stomaco. Fra’ Come, uno dei più illustri
chirurghi dell’epoca tentò di salvarlo con numerose operazioni, ma proprio
queste gli furono fatali, poiché le ferite si infettarono. VIGÉE
LE BRUN, 1835-37, p.30.
- Rosalie Bocquet, più o meno coetanea di Elisabeth,
aveva alle spalle due generazioni di pittori: il nonno era peintre du
roi, il padre era pittore di feste e avvenimenti. Baillio (1988,
p.102), senza particolari spiegazioni, afferma che la madre di Rosalie
aveva creato per la figlia una "académie féminine".
- VIGÉE LE BRUN,
1835-37, p.30. L’insistenza
della pittrice nelle sue memorie per questa predilezione per la pittura alla
lampada negli anni della formazione, farebbe pensare a uno stile
vicino a quello di De La Tour, ma nelle opere giovanili che ci sono
pervenute non vi è traccia alcuna di questa maniera "oscura" di
dipingere.
- Cfr. la nota 9 di questo capitolo e Elisabeth
Louise Vigée Le Brun (1755-1842), catalogo della mostra a cura di
J. Baillio, Fort Worth, Texas, Kimbell Art Museum, 1982, p.39
(d’ora in poi BAILLIO, catalogo, 1982).
- VIGÉE LE BRUN,
1835-37, p.31.
- Il duca di Choiseul (1719-1785) fu ministro di Luigi
XV ed ebbe modo di viaggiare molto in tutta Europa (fu nelle Fiandre nel
1746, nel 1753 in Italia e a Vienna nel 1758), acquisendo uno spirito e un
gusto cosmopoliti. Iniziò a formare la sua collezione nel 1750 (anno in
cui sposò la nipote di Antoine Crozat) e continuò a fare acquisti per una
ventina di anni, finché non cominciò ad avere seri problemi economici e
dovette vendere tutti i suoi averi in varie aste tra il 1772 e il 1786.
Inizialmente alloggiò all’hôtel di rue de Richelieu, già dimora di Pierre
Crozat, e successivamente si fece costruire il grandioso castello di
Chanteloup. La sua collezione era formata principalmente da opere
fiamminghe e olandesi e fra le opere di maggior spicco vi erano otto
Rembrandt, fra cui Il Filosofo in meditazione, il Filosofo in
contemplazione e un Autoritratto con berretto di velluto e catena
d’oro acquistati alla vendita del conte de Vence e oggi al Louvre. Tutte
le informazioni sulla collezione e la vita del duca di Choiseul sono
derivate da B. Scott The duc de Choiseul, a Minister in the Grand
Manner, in "Apollo", 1973, CVII, July-September, pp.42-53 e
da S. Jugie, La collection d'Etienne-François, comte de Stainville, duc
de Choiseul, in L'Age d'or flamand et hollandais, Collections de
Catherine II, Musée de l'Ermitage, Saint Petersburg, Dijon, Musée des
Beaux-Arts, Septembre 1993, pp.57-64. Si veda inoltre il capitolo VII,
p.74 e segg.
- Come è noto buona parte dei dipinti (circa 500) furono
acquistati da Caterina II di Russia. Tutte le
informazioni sulla collezione Crozat vengono da B. Scott, Pierre
Crozat, A Maecenas of the Régence, in "Apollo", 1973,
vol.XCVII, n.131, January, pp.11-19; M. Stuffmann, Le Tableaux de la
Collection de Pierre Crozat, in "Gazette des
Beaux-Arts", 110e année, 1968, July-Septembre, p.11-143;
H. Meyer, La collection de Louis-Antoine Crozat, baron de Thiers,
in L'Age d'or flamand et hollandais, Collections de Catherine II, Musée
de l'Ermitage, Saint Petersburg, Dijon, Musée des Beaux-Arts,
Septembre 1993, pp.49-56.
- A questo proposito si vedano gli approfondimenti sulla
collezione e sulle opere della Vigée Le Brun influenzate dai dipinti ivi
presenti nei Capitoli VII e VIII.
- VIGÉE LE BRUN,
1835-37, p.31.
- Nella collezione di Rendon de Boisset vi erano
moltissime opere fiamminghe e olandesi, in parte provenienti da quella di
Pierre-Jean Mariette (1694-1774) che possedeva numerosi disegni di Rubens
(disegno per Il giardino d’amore), 400 incisioni di Rembrandt e una
copia dell’Iconographie di van Dyck (500 ritratti incisi, più otto
dei disegni preparatori delle incisioni, fra cui il Ritratto di Jacomo
de Cachiopin). Informazioni da B. Scott, Pierre-Jeanne
Mariette, Scholar and Connoisseur, in "Apollo", 1973,
vol.XCVII, n.131, January, pp.54-59, si veda anche P. Remy, Catalogue
de tableaux et dessins précieux des maitres célèbres des trois écoles… du
cabinet de feu M. Randon de Boisset, Paris, 1777.
- Questo particolare non va trascurato: infatti, non
solo è nota la predilezione di questo collezionista per gli autori
nordici, ma, curiosamente, un ritratto del banchiere fiammingo eseguito da
van Dyck e posseduto da Pierre Crozat, ha qualche congruenza con il
ritratto del Conte Maurice de Fries, dipinto da Elisabeth durante
il suo soggiorno viennese. Si vedano a tale proposito la scheda n.10 e
il Capitolo
VIII, p.95 e segg..
- Abel-François Poisson, marchese di Marigny, come
direttore generale dei Bâtiments reali dal 1751 al 1773, aveva
recentemente restaurato i dipinti di Rubens e nel 1766 aveva istituito una
guardia svizzera permanente affinché la galleria potesse essere visitata
ogni giorno, con l’intenzione di aiutare la formazione artistica di giovani
pittori. Il marchese possedeva inoltre una ricca collezione con una
sezione di pregevoli dipinti fiamminghi e olandesi, con opere di Berchem,
Rachel Ruysch, van Huysum, Metsu (Uomo che suona il violoncello,
olio su tela, 62 x 48 cm, H. M. the Queen Elisabeth II) e Ter Borch (Dama
che suona la tiorba, olio su tela, 32 x 34 cm, New York, Metropolitan
Museum of Art). B. Scott, The Marquis de Marigny,
A Dispenser of Royal patronage, in "Apollo", 1973,
vol.XCVII, n.131, January, pp.25-35.
- Ad esempio, La Pace che
riporta l’Abbondanza (Fig.4a), morceau de reception per l’Académie,
dipinto nel 1780 e la Baccante del 1785
(Fig.5a) sono derivazioni dirette da brani del ciclo mediceo (si vedano le
schede n.4-n.5 e
il Capitolo
VIII).
- Per ottenere il permesso di accedere alle gallerie
d'arte e di lavorarci [Elisabeth Vigée-Le Brun] fu costretta a conquistare
grandi personaggi che intervenissero a suo favore, e più tardi ancora ebbe
bisogno dei grandi personaggi per avere clienti dell'alta società per i
suoi ritratti. Per sua fortuna aveva un aspetto attraente fin da
giovanissima e l’avventato matrimonio con un libertino non ne diminuì
certo il fascino. G. Greer, Le tele di Penelope, le donne e la
pittura attraverso i secoli, Milano, Bompiani, 1980, p.95, d'ora in
poi GREER, 1980.
- VIGÉE LE BRUN,
1835-37, p.32. Vedremo
subito come in questo passo la pittrice abbia utilizzato una terminologia
propria della teoria classica dell'imitazione.
- Citazioni
dai Souvenirs, da BAILLIO, Vigée Le Brun and the Classical
Practice of Imitation, Papers in Art History from the Pennsylvania
State University, IV, Edited by George Mauner et al., 1988, p.96.
- Lettera I, libro XI: …conditura et dispositione in
hanc qualitatem verti, quae ex tenerrisimis virentium florentiumque
decerpserint, non sine quodam, ut ita dicam, fermento, quo in unum
diversa coalescunt. (…) …nos quoque has apes debemus imitari et quaecumque
ex diversa lectione congessimus, separare, (…) deinde adhibita ingenii
nostri cura et facultate in unum saporem varia illa libamneta confundere,
ut etiam si apparuerit, unde sumptum sit, aliud tamen esse quam unde
sumptum est appareat (… ciò che le api suggono dalle erbe più tenere e
dai più teneri fiori, si trasformi in miele quando venga preparato e
disposto in maniera acconcia e vi si aggiunga per così dire una specie di
lievito per cui sostanze diverse si fondono in una sola […] anche noi
dobbiamo imitare le api, dobbiamo cioè dapprima ben distinguere le cose
che abbiamo messe insieme con diverse letture […] e poi mettendo in atto
con viva diligenza la capacità del nostro ingegno fondere in un unico sapore
le diverse libazioni, in modo che se anche appaia qual è la fonte a cui
abbiamo attinto, appaia anche che il nostro scritto ha una sua originalità
indipendente dalle fonti), B. Giuliano, Seneca, Lettere a
Lucilio, libri VII-XIV, Bologna, Zanichelli, 1983, pp.246-248. A
questo proposito e per i successivi riferimenti a Quintiliano e Rubens si
veda l'articolo di J. M. Muller, Rubens's Theory and Practice of the
Imitation of Art, in "Art Bulletin", 1982, vol.LXIV, n.2,
pp. 229-247.
- "E che dunque? Non si vedrà l'autore di cui tu
imiti lo stile e il ragionamento da cui tu attingi le idee?" Secondo
me, può benissimo darsi che questo non si veda affatto, se un uomo di
grande ingegno è riuscito ad imprimere nelle cose che ha ricavato da
qualsiasi esemplare una sua forma originale così che si accordino in
armonica unità. Ibidem, p. 250-51.
- Neque enim dubitari potest quin artis pars magna
contineatur imitatione. (…) Atque omnis vitae ratio sic constat, ut, quae
probamus in aliis, facere ipsi velimus. Sic (…) pictores [intuentur] opera
priorum. (Non si può dubitare del fatto che gran parte dell'arte
consista nell'imitazione (…) Ed è un principio universale della vita il
fatto che desideriamo fare noi stessi quello che approviamo negli altri
(…) così (…) i pittori [guardano] alle opere dei loro predecessori). C. M.
Calcante, Quintiliano, La formazione dell'oratore, 3voll.,
Milano, BUR, 1997, Vol. 3, libri IX-XII, libro X, II, pp.1714-15.
- …in relazione a questa parte degli studi, bisogna
esaminare ogni aspetto con un discernimento scrupolosissimo. In primo
luogo bisogna considerare chi dobbiamo prendere a modello (…) poi
nell'ambito degli autori che abbiamo scelto, bisogna definire che cosa ci
apprestiamo a riprodurre. Ibidem, pp. 1718-21.
- Fra gli italiani, a parte Vasari, sono da citare
almeno Varchi, Lomazzo, Dolce e, per gli anni successivi Agucchi,
Armenini, Carracci e Zuccaro. Fra gli stranieri, che saranno poi alla base
delle teorie rubensiane, ricordiamo Lampsonius e Otto van Veen. Per questo
argomento troppo vasto da trattare in questa sede e per una più ampia
bibliografia si rimanda ai due testi fondamentali di P. Barocchi, Scritti
d'arte del Cinquecento, 3 voll., Torino, 1978 e di J.
Schlösser-Magnino, La letteratura artistica, manuale delle fonti della
storia dell'arte moderna, La Nuova Italia editrice, Firenze, 1977,
all'articolo di MULLER (1982) e all'intervento di C. Limentani Virdis, Lo
specchio magico di Rubens: il colore e la seduzione, in Pietro
Paolo Rubens (1577-1640), catalogo della mostra a cura di D. BODART,
Padova, Palazzo della Ragione, 25 Marzo-31 Maggio 1990, De Luca Edizioni
d'Arte, Padova, 1990, pp.29-34.
- Cfr. M. D.
Sheriff, Invention, Resemblance, and Fragonard's Portaits de
Fantaisie, in "Art Bulletin", 1987, LXIX, n. 3, September, pp.79
e 83.
- A. Mérot, Les
Conférences de peinture et de sculpture au XVIIe siècle,
École nationale supérieure des Beaux-Arts, Paris, 1996, pp.224-228.
- Quintilien, un
des plus excellents rhétoriciens de l’antiquité, montre que dans tous les
arts l’invention est toujours la principale partie, et il décide la
question contre les imitateurs et les copistes par des preuves tirées de
la peinture même. Ibidem, p.227.
- Ils s’arrêtent
servilement à copier la manière particulière d’un auteur, se proposant comme
leur but et comme l’unique modele qu’ils doivent consulter. Ils jugent par
ce seul auteur la manière de tous les autres et ils n’ont point
d’autres yeux pour faire le discernement des beautés et des divers
agréments que la nature nous propose à imiter. /Cette inclination se peut
pardonner à un jeune étudiant qui est encore sous l’aile du maître…Ibidem,
p.225.
- qu’ils
devraient prendre ce qu’il y a de plus beau dans toutes les manières
particulières et se former, a l’imitation des abeilles,
un suc, c’est-à-dire une beauté qui leur fut propre. Ibidem,
pp.225-26.
- Ibidem,
pp.395-519.
- C’est ainsi
que, dépouillé de prévention, l’on pourra sur les grands maîtres tirer des
principes certains de son art, sans cependant les imiter servilement. Ibidem,
p.417.
- Un génie élevé
doit avoir la noble émulation de tâcher d’égaler le plus grands hommes de
l’antiquité; et c’est un grand avantage pour nous qu’ils nous aient tracé
les chemins par lesquels on peut arriver jusqu’a eux; sachons donc
profiter du bonheur de pouvoir recueillir nous-mêmes le fruit de leurs
travaux. Ibidem, p.416. Anche Sir Josuha Reynolds
(di cui avremo modo di parlare successivamente) nei suoi discorsi
sull'arte considera fondamentale l'imitazione nella formazione artistica
di un pittore: I am (…) persuaded, that by imitation only, variety, and
even originality of invention, is produced. I
will go further; even genius, at least what generally is so called, is the
child of imitation. (R. R. Wark, J. Reynolds, Discourses
on Art, New Haven and London, 1981, p. 96, citato da BAILLIO, 1988, p.
101).
- Cfr. VIGÉE LE BRUN, 1835-37, pp.38-39 e Capitoli II e
IX.
- Samuel van
Hoogstraeten, Inleyding tot de hooge schoole der Schilderkonst:
anders de zichtbare Werelt. Verdeelt in negen Leerwinkels yder bestiert
door eene der zang-godinnen (repr. of 1678 ed.), Soest, 1969 (la prima
edizione fu stampata a Middelberg nel 1641), citato e tradotto in MULLER,
1982, pp.244-45. Hoogstraeten, nel suo trattato, emphasized
the necessity of equalling or surpassing that from which one borrows
(MULLER, 1982, p. 244). Nel caso di Rubens afferma che indienge by
geval iets uit de outheit neemt, zoo dient de rest van uw werk het
geleende gelijk te zijn, of liever in deugt te overtreffen. Rubens wiert
van eenige zijner tegenstribbelaers gehekelt, dat hy geheele beelden uit
d’Italiaenen ontleende ...: maer deeze groote geest dit vernemende, gaf
tot antwoort: zy mochten ’t hem vryelijk naedoen, indien zy’er voordeel
inzagen. Hier
meede te kennen gevende, dat yder een niet bequaem en was zich van dat
voordeel te dienen (Quando
uno prende qualcosa in prestito dagli antichi, allora il resto della sua
opera dev'essere uguale all'originale o, ancor meglio, dev'essere
migliore. Rubens veniva criticato da alcuni suoi avversari perché prendeva
in prestito immagini dagli italiani…: ma quando questo grande spirito
seppe ciò che si diceva di lui, rispose: erano liberissimi di fare
altrettanto, se lo ritenevano vantaggioso. Con questo dava a intendere che
non tutti erano capaci di servirsi di questo tipo di vantaggio). L'originale
è in MULLER, 1982, p. 244, per la traduzione ringrazio vivamente la
dottoressa Marlene Maertens per il prezioso aiuto.
- Un pittore dovrebbe, come un'ape laboriosa che vola di
fiore in fiore e ne succhia solo il miele, estrarre tutto ciò che vi è di
utile negli esempi altrui. Copiare tutto è cosa troppo servile, e persino
impossibile. HOOGSTRAETEN, 1969, pp. 194-95, in MULLER, 1982, p.245, mia
traduzione dalla sua inglese.
- In R. De
Piles, Cours de peinture par principes, Paris, 1708.
- DE PILES,
1708, p. 139, citato in MULLER, 1982, p. 230.
- L.
Strachey, The Memoirs of Madame Vigee Le Brun, English translation
of "Souvenirs", George Braziller Inc., New York, 1989 (d'ora in
poi STRACHEY, 1989), p. 324, mia traduzione dall'inglese.
- Ibidem, p.324, mia traduzione dall'inglese. Di Charlotte Eustache
Sophie Faligny de Damas Marchesa de Grollier (1742-1828) la Vigée Le Brun
non fece solo un ritratto scritto, ma anche uno a olio su tavola nel
1787-88, 92 x 72 cm, oggi nella collezione del Conte Jean-François de
Roussy de Sales, nello Château de Thorens, a Thorens-Glieres.
- Anche della contessa de Sabran et Pontevres la
pittrice fece un ritratto, un olio su tela ovale, 52 x 39 cm, del 1786,
oggi a Berlino nello Schlöß Charlottenburg.
- Un salotto più legato alla letteratura contemporanea,
ma ricco comunque di interessanti spunti, era quello di Mme de La
Reyniére. Fra i suoi frequentatori la pittrice ricorda l'Abbé Barthelemy,
autore del Voyage du jeune Anacharsis, e un folto gruppo di
musicisti: Sacchini, Piccini, Garat, Richer. STRACHEY, 1989, pp. 321-22.
- Ibidem, p.344-45, mia traduzione dall'inglese.
- VIGÉE LE BRUN,
1835-37, p.98.
- Copiava e disegnava da pochissimi dipinti italiani e
passava il suo tempo prezioso a gironzolare, guardandosi intorno, o rimaneva
seduto tranquillo... HOOGSTRAETEN, 1969, p. 194, citato in MULLER, 1982,
p.245, mia traduzione dalla sua inglese.
- Sono certo di ricordare meglio io ciò che ho solo
osservato, che voi ciò che avete disegnato. HOOGSTRAETEN, 1969, pp.
194-95, citato in MULLER, 1982, p.245, mia traduzione dalla sua inglese.
- Si veda MULLER, p.245.
- Mio padre non aveva lasciato ricchezze; a dir il vero,
guadagnavo già molto, perché avevo da fare molti ritratti. VIGÉE
LE BRUN, 1835-37, p. 32.
- Si veda la scheda n.1, Figg.1a/b. È anche interessante
notare che in quel periodo esisteva almeno una copia anonima della Suonatrice di chitarra di Vermeer
(olio su tela, 53 x 46,3 cm, Kenwood House, Iveagh Bequest, Fig.1c), anche
se non è chiara la sua esatta ubicazione. Se la pittrice avesse visto
l’opera e l'avesse usata come ulteriore fonte di ispirazione sarebbe segno
di un precoce e autonomo interessamento di Elisabeth a questo maestro olandese
riscoperto, poi, proprio da Jean Baptiste Pierre Le Brun. Ma tutto ciò
rimane solo una allettante ipotesi. Un tramite con la cultura neerlandese,
in questo caso, potrebbe essere anche la Marchesa di Bezons di
Greuze del 1759 (Fig.1d).